Capitolo 34.

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Occhi socchiusi e cuore aperto

«Delle volte per ritrovarsi bisogna perdersi»

Caleb

Jess è più taciturna del solito.
I suoi occhi sono rivolti verso il pavimento, le sue mani sono giunte, poggiando i gomiti sulle sue ginocchia.
«Bimba», mi avvicino a lei, abbassandomi alla sua altezza. «Ti prego, dimmi cosa accade», l'accarezzo.

I suoi occhi incrociano i miei per pochi secondi, quanto basta per identificarne la lucidità.
«Io...», emette con un filo di voce, posando una mano sopra la mia.
Osservo il suo movimento, per poi guardarla nuovamente negli occhi.

«C'è qualcosa che non sai» riprende tutto d'un fiato e sospirando profondamente, tamburellando con le dita dell'altra mano.

Inarco un sopracciglio sollevandomi e sedendomi al suo fianco.
Le tocco dolcemente una guancia, posando una mano tra le sue cosce, accarezzandole con il polpastrello.
«Riguarda il tuo nuovo lavoro?» tento a dirle.
Scuote il capo ripetutamente, senza alzare mai lo sguardo.
«Sono andata a letto con Richard» risponde frettolosamente e con un filo di voce.

Esito prima di darle una risposta.
Piombo in piedi, quasi per istinto, dirigendomi verso la finestra e guardando l'orizzonte.
Nello stesso istante, mi porto le mani ai capelli, strattonandoli appena, quasi a chiedermi: come è possibile?
«Tu cosa?» è tutto ciò che riesco a dirle alzando notevolmente la voce.
Era da tanto che non urlavo in questo modo. Probabilmente da quando Jessica è entrata a far parte della mia vita.

Mi guarda impietrita e per la prima volta, non provo compassione per quello sguardo che ormai conosco perfettamente. Quasi più del mio.
«Dammi una cazzo di risposta, mocciosa» le urlo ancora, avvicinandomi a lei. Forse più del dovuto. «Abbi almeno le palle di spiegarmi tutto per filo e per segno».

La vedo aprire di poco le labbra, per poi socchiuderle nuovamente e deglutire.
Resto a fissarla per qualche istante, per poi voltarmi e strizzarmi gli occhi.
Non so identificare il tipo di espressione che compare attualmente su questo volto.

Probabilmente è un insieme tra: stupore, paura, rabbia e sarà forse anche il caso di dire pena?
«Promettimi che mi ascolterai fino alla fine, senza interrompermi, Caleb» mi dice, sospirando ancora una volta.

«Avanti, Jessica. L'ultima parola sarà la mia» mi rivolgo a lei, risultandole quasi minaccioso.
«Quando sono andata a letto con lui, ero alla mia prima conferenza a lavoro» comincia a dire, tremando. - «Non mi hai accompagnata perché eri impegnato e questa era una cosa che non riuscivi a perdonarti. E decidesti tu di farmi accompagnare da lui».

L'ascolto con interesse, sperando che finisca con il giro di parole e arrivi al punto cruciale. E sarà esattamente il momento in cui esploderò e dirò tutto quel che in questo momento mi sta frugando per la testa.

«Dopo essere stata due ore lì dentro, tutti sentivamo la necessità di sgranchirci un po' ed io come tutti i presenti che erano lì, decidemmo di salire al piano superiore ed ordinare qualcosa da bere. Compreso Richard» spiega, marchiando soprattutto le ultime parole, guardandomi dritto negli occhi.

Scommetto qualsiasi cosa che arriverà al punto in cui dirà di aver esagerato con i drink e inconsciamente il giorno dopo si è ritrovata sotto le coperte di Richard, quel che era il mio migliore amico.

«E sai perfettamente il tipo di rapporto che scorre tra me e l'alcool, non è così?» domanda.
«Continua», la incito. - «Io parlerò alla fine».
«Nel mentre, ho cominciato a parlare di te. Di come è avvenuto il nostro primo incontro, di quando abbiamo dormito insieme la prima volta e quando mi hai raggiunta a casa dei miei genitori per affrontarli e riportami via» nello spiegarmi, il suo volto accenna un sorriso.

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