Capitolo 38.

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Incontri e chiarimenti

«Non serve a niente aspettarsi dagli esseri umani più di quanto siano in grado di dare. Suppongo che non dovrei odiarli tutti, perché sarebbe come odiare l'acqua perché è bagnata, o la polvere perché è secca. Ma li odio comunque, e anche con un certo orgoglio» Cit.

Il mattino seguente, il sole era già spuntato alle sei e mezzo del mattino.
Con le dita, apro leggermente la tenda della finestra nel mio studio, guardando l'orizzonte.

Le vie sono poco affollate, pochi ragazzi rincorrono le fermate per i bus, mentre un leggero venticello muove le foglie dagli alberi, lasciandole ricadere per terra.

Una classica giornata primaverile.
Sospiro e mi lascio andare, sedendomi sul divano di pelle bianca del mio studio, tamburellandoci sopra con le dita.
Probabilmente in questo momento dovrei essere nel letto con Shay, dopo questa notte.

Ma non considero quello il mio posto.
E probabilmente neanche più questo, a dire il vero.
Mi sollevo velocemente, aiutandomi con le braccia e raggiungo il piccolo bagno posto alla destra del corridoio principale.

Resto qualche minuto fermo, così. Allo specchio. I ricci totalmente scompigliati, la barba tagliente e non curata di qualche settimana ormai e qualche occhiaia qua e là in più.

«Ma andiamo» mi incito, sciacquandomi il viso con acqua fredda. «Riprenditi, ragazzo»
Afferro l'asciugamano e me la porto al volto, tamponando leggermente.

«Solitamente dopo che ti sciacqui la faccia, emetti un sospiro» sento una voce alle spalle, farsi sempre più vicina.
Ma a chi vogliamo prendere in giro.
È la sua di voce.

Mi volto lentamente, guardandola in un primo momento, per poi distogliere lo sguardo guardando verso terra.
È lei, è sempre lei. Come la prima volta.

«Come sei entrata?» è ciò che effettivamente esce dalla mia bocca, tralasciando i pensieri sul suo conto.

«Ho sempre avuto il doppione delle chiavi» le scuote con la mano, facendole rimbombare nella stanza.

«Allora dimmi perché sei qui» riprendo, riposizionando l'asciugamano al suo posto e portandomi la mano sul volto, grattandomi il mento.

«Ti ho dato del tempo. E mi sono presa del tempo. Adesso penso che abbiamo bisogno entrambi di parlare» dice lei, avvicinandosi più a me.

D'istinto indietreggio, alzando le mani, sempre con lo sguardo rivolto verso il basso.
«Ci siam già detti tutto ciò che dovevamo dirci», le tengo presente. «Adesso ti prego di uscire da questa maledetta stanza» alzo poco la voce, indicando l'uscita.

La vedo scuotere il capo, avanzando sempre più. «La ricordi la nostra prima volta?», mi domanda, toccandomi il braccio.

Indietreggio ancora, respirando profondamente e arruffandomi ancor di più i ricci.
«Ricordi la prima volta che i nostri sguardi si sono incrociati e i nostri corpi uniti?» continua a domandarmi, avanzando sempre più.

«Adesso basta» le urlo contro, guardandola e alzando nuovamente le mani. «Non ho voglia di sentirti, tantomeno sentir parlare di quando ti ho conosciuta»

«Mi dispiace, Caleb. Mi dispiace averti ferito così tanto. Non volevo e so che questo lo sai. Un anno fa eravamo persone totalmente diverse da quel che siamo ora. Probabilmente un anno fa non mi avresti degnato di uno sguardo, invece adesso..»

«E probabilmente avrei fatto la cosa migliore», la interrompo, guardandola dritta negli occhi ed avanzando io verso di lei, questa volta.
«Incontrarti è stata la cosa più sbagliata che mi sia mai potuta capitare, Jessica»

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