Capitolo 42.

944 44 5
                                    

Una settimana più tardi, la mia vita riprese il proprio ritmo.

«È sempre bello incontrarti» esordisco a voce ben alta andando incontro a Diana, la mia vecchia segretaria che è tornata in città per farmi visita.

La vedo sorridere mentre cammina in maniera graziosa sopra i suoi tacchi, ispezionando quel che prima era anche il suo studio.

«Sempre bello tornare a casa» risponde lei, stringendosi calorosamente a me. Solleva appena lo sguardo, dandosi una occhiata attorno. «Ma dimmi un po', ti era mancata davvero questa topaia?»

Sghignazzo.
«A dire il vero sì. L'aria di Medford mi era mancata» tento di spiegarle, facendola accomodare sulle poltroncine di pelle bianca.

«Ho saputo di te e Jess. Non avrei mai immaginato che le cose si sarebbero evolute fino a questo punto» comincia un discorso, accavallando le gambe e sbottonandosi il primo bottone della camicia.

Scuoto il capo, arruffandomi i ricci.
«A dire il vero non era in programma un figlio. Ma è fantastico quel che la vita ci ha riservato» accenno un sorriso nel parlarle.

A distanza di anni, parlare di Jess mi fa ancora lo stesso effetto. A maggior ragione ora, che stiamo mettendo su famiglia.
Non credevo sarebbe mai accaduto.

«Certo. È notevole il vostro rapporto, da come tutto sia nato e quel che oggi è diventato» mi interrompe lei, cominciando a far riaffiorare nella mia mente il nostro primo incontro.

Ero appena uscito dalla saletta con un cliente quando mi accorsi che una ragazza mi aveva sporcato la camicia di caffè e rovesciato le tazzine per terra.
Era lei.
Perfettamente e dannatamente lei.
Bellissima.

Mi sollevo frettolosamente, raggiungendo l'ingresso aprendo la porta principale, avendo sentito il campanello.

«Vienici a trovare nel nostro appartamento. Lo sai, è sempre un piacere» le dico alzando appena la voce non appena esco dalla stanza.

«Salve, entri» rivolgo uno dei miei migliori sorrisi al cliente alla soglia della porta. Mi scosto appena, permettendogli il passaggio.

«Lo farò senz'altro» sento i passi di Diana raggiungermi nell'atrio principale, salutando cordialmente il primo cliente della giornata e fuoriuscendo dallo studio, facendomi cenno con la mano.

Mi massaggio le tempie.
«La prego, mi segua» torno a concentrarmi sull'uomo a me di fronte, dirigendomi nella mia sala personale facendolo accomodare sul lettino.

«Lei è il signor Joseph?» gli domando dandogli le spalle e sciacquandomi le mani, indossando infine i guanti.

Nel voltarmi lo scorgo annuire.
«Bene» penso tra me e me, emettendo un sospiro.

Accenno verso di lui, prendendo posto.
«Cosa tatuiamo e dove?» chiedo, cercando di risultare il più professionale possibile.

Erano diverse settimane che non tatuavo e l'idea di ricominciare un po' mi spaventa.

«Questo» risponde semplicemente lui, mostrandomi un foglietto di carta contenente una piccola frase.
Non ho potuto fare a meno di notare le sue mani. Erano rovinate. Tanto.

Sollevo lo sguardo ed incrocio il suo.
I suoi occhi erano gonfi e stanchi. Anche un po' rossi a dire il vero.
Scorgo una piccola cicatrice all'altezza del suo collo e la camicia arruffata è leggermente macchiata.

Indelebile.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora