Capitolo 8.

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         Quello che non ti ho detto

«Se non mantengo è perché non ho mai promesso» Cit.

         Jessica
«Richard, maledizione» esclamo, facendolo entrare dentro il mio umile appartamento. «Perché mi hai seguita?» gli domando, notevolmente infastidita, poggiando il piccolo per terra, facendolo gattonare.

«Perché ti stai mettendo nei guai», mi dice.
Sarei io quella a mettersi nei guai?
«Se potessi prenderti a schiaffi, giuro che lo farei» sbotto, alzando gli occhi al cielo e accendendo la macchinetta per prepararmi un caffè.

«Lascialo per terra, sta giocando» preciso, fulminandolo con lo sguardo, intento a sollevare il piccolo.

«Smettila di fare la maestrina con me, Jess» mi risponde a tono, avvicinandosi.
«Smettila un corno. Caleb mi ha vista» spiego.
Riesco a notare il suo sguardo cambiare.
Come il suo umore, d'altronde.

«Cosa gli hai detto?» chiede.
«Cosa avrei dovuto dirgli?»
«Beh», dice. «Tutto?»
Scuoto la testa, prendendo una tazzina e versandoci il caffè dentro.

«Non sono idiota fino a questo punto, Richard»
Annuisce, sospirando quasi con un sollievo.
Si siede sul divano accanto a me, guardandomi, per poi spostare lo sguardo verso il bambino.

«È bello, non è vero?» mi chiede, accennando un piccolo sorriso.
«Si, lo è», preciso. «Fortunatamente non ti somiglia»
«Sicura di non aver detto niente al tuo nuovo moroso?» mi domanda ancora, facendomi innervosire.

Perché diamine Caleb dovrebbe essere un ragazzo per il quale potrei provare interesse.

«Parti dal presupposto che non è un ragazzo con cui mi sento o con cui ho avuto a che farci», preciso, inarcando un sopracciglio e guardandolo negli occhi.

Sorride appena, sollevando un angolo della bocca. «Su questo non sono propriamente d'accordo» mi dice.
«Cazzi tuoi, allora» sbotto, alzandomi e andando ad accendere una sigaretta.

«Non voglio farti arrabbiare. Anzi, non mi conviene farti arrabbiare» viene verso di me in veranda, quasi scusandosi.
Annuisco, aspirando a pieni polmoni quel sapore amarognolo.

«Quando hai incontrato tua sorella?» mi chiede.
Lo guardo, alzando gli occhi al cielo. «Stamani», rispondo, per poi aspirare ancora.
«Ti ha chiesto di me?»

«Perché mai dovrebbe farlo?» sorrido, rientrando in cucina e abbassando la veranda.
«Perché abbiamo tante cose in comune, Jess. E tu lo sai» chiarisce subito lui, alzando un sopracciglio.

«Ad esempio un figlio?» rispondo senza esitazione, indicando la piccola creatura intenta a giocare con piccoli pupazzi mentre osserva la televisione.

«Cazzo urli, ragazzina» si altera appena Richard. «Sapevo che lasciarlo nelle tue mani non sarebbe stata la cosa migliore»

«Avresti voluto tenerlo tu? A casa con Alison incinta di un tuo secondo figlio ed ignara di questo primogenito con mia sorella?» comincio con tono quasi aspro, duro. «Ignara del fatto che mentre dicevi di essere ad una sentenza in tribunale come avvocato eri nelle coperte di mia sorella?» alzo di poco la voce, rinfacciandogli la cruda e triste verità.

«Non si può tornare indietro, Jess» risponde, andandosi a sedere sul divano, osservando il piccolo.

«Ma avresti potuto evitarlo. È a causa tua se mi ritrovo in questa città ad accudire un figlio che non mi appartiene» gli dico, serrando le braccia.

Annuisce, portandosi la mano sul capo. «Mi dispiace, non volevo creare tutta questa confusione nella tua vita» si alza, venendomi incontro e posando una mano sulla mia spalla.

«E la cosa che più mi duole dentro è quella di dover mentire ad Alison. Di aver instaurato con lei un rapporto basato su una menzogna, Richard. Questo perché non hai avuto il coraggio di parlarle e perché mia sorella non è in grado di mantenerlo» lascio scacciare qualche lacrima lungo il viso, presa dalla rabbia e dalla delusione della persona che son diventata.

«Se ne parlassi con Alison, lei mi morirebbe. Non voglio farle del male», risponde sinceramente.

«Non puoi farle male più di quanto tu non ne abbia fatto già» chiarisco, asciugandomi frettolosamente le poche lacrime scese.
«Ti capisco, Jess, ed hai ragione», mi dice. «Ma non posso presentarmi da lei con un bambino, cazzo. La ucciderei»

«Quando tu uscirai da quella porta, sospirerai e ti sentirai un peso in meno sulle spalle», comincio a dirgli. «Io no, Richard. Adesso devo occuparmi anche di un bambino, dargli da mangiare, crescerlo ed accudirlo, lo capisci questo? In un anno solo tu e mia sorella mi avete rivoluzionato la vita. Perché? Perché non avete le palle di assumervi le vostre responsabilità» finisco, lasciandomi andare.

«Se vuoi parlarne con Alison, non posso impedirtelo» risponde, accarezzandomi appena una guancia.

«Sai che non lo farò» ribatto, tirando su' il naso.
Annuisce, sedendosi per terra accanto suo figlio e accarezzandogli dolcemente la testolina.

"Mi dispiace se non potrò darti ciò che meriti, figlio mio" sussurra dolcemente, per poi baciargli il capo.

«Cosa devo fare con Caleb, adesso?» riprendo, andandomi a sedere in cucina, vedendo una scena tra padre e figlio. Quasi carina.

«Cos'ha visto esattamente?» mi chiede, continuando a giocare con il piccolo.
«Ogni cosa Richard, ogni cosa. Mi ha vista scendere da casa tua, dove mi aspettava mia sorella. Cosa dannazione ci faceva lì?» domando.

Scuote il capo. «Non ne ho idea, sul serio», è tutto ciò che riesce a dirmi.
«Mi ha chiesto di lui» dico, indicando la piccola creatura.
«E cosa gli hai risposto?»

«Nulla», ribatto. «Ma non posso tacere per sempre» preciso, iniziando a dondolare una gamba, nervosamente.
«Non dirglielo, non adesso. Fammici pensare, per favore» mi chiede, guardandomi negli occhi.

Annuisco.

«Ti importa così tanto di lui?», torna sull'argomento.
«Non me ne prenderei cura, altrimenti»
Scuote la testa, sollevandomi appena il volto dal mento. «Mi riferisco a Caleb».

«Assolutamente no», sbotto, mettendomi diritta, quasi sull'attenti. «Non pensarci nemmeno»

«Jess, andiamo. Ti conosco ormai», mi dice. «Per una qualsiasi altra persona non avresti fatto tutte queste storie per sapere cosa dirgli e cosa non riguardo a questa faccenda» continua.

Sbuffo, inarcando un sopracciglio. «L'avrei fatto per chiunque, è una situazione delicata questa, Richard» preciso io, infine, guardandolo.

«D'accordo», risponde, sorridendo. «Per una qualsiasi altra persona, quindi, avresti fatto anche la finta ubriaca per andarci a letto?» mi fa un occhiolino, accennando la lingua.

Che maiale che è.

Sento la mascella contrarsi e i pugni serrarsi. Il mio sguardo ormai acceso è fisso contro il suo.
Non aggiungo parola, sento soltanto il sangue salirmi fino al cervello.

«Non azzardarti a ripetere una cosa simile, lurido porco» urlo, spingendolo appena, cercando di farlo indietreggiare.

«Vuoi dirmi che non è così?» continua, istigandomi.
«Basta, Richard» urlo appena, alzandomi e andando in salotto, sedendomi accanto al piccolo e prendendolo in braccio.

«Ti conviene tacere prima che ti ficchi un coglione in bocca e mi presenti a casa tua e di Alison con tuo figlio» suona quasi come una minaccia.

O magari lo è.

Ma da quel momento, Richard non emesse neanche un lieve suono.

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