Capitolo 3.

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                    Arrivi tu

«A volte succedono cose che non si è preparati ad affrontare» Cit.

«Che diamine vuoi, ancora?» le domando, vedendola muoversi continuamente.
«Che mi lasci in pace», sbotta lei.

Ma stiamo scherzando? È lei che in un modo o nell'altro continua a venirmi dietro riempiendomi di balle e sarei io a doverla lasciare in pace?

«Sei tutta fusa» ammetto, accennando un sorriso.
Mi alza il medio, inarcando un sopracciglio. «Fusa lo vai a dire al tuo cane, punto primo»
«Non ho un cane»
«Pensi mi importi? Ti torno a dire che vedrai molto spesso la mia presenza qui, essendo nuova barista del bar accanto» comincia a dire, sedendosi comodamente sul lettino che utilizzo per tatuare.
«Seriamente pensi che possa considerarti? Andiamo sguattera, mi sei indifferente»

La scruto attentamente mentre serra i pugni, stropicciando la carta al suo fianco.

«Smettila di chiamarmi sguattera. Non sai nulla di me.» Riesco a sentire i suoi occhi colmi d'odio ed ira dritti verso i miei.
«Tu sai qualcosa di me? Stiamo sulla stessa barca»
«Taci», mi dice.
«Ma quindi cosa vuoi? Devo lasciarti in pace? Perfetto, non è neanche mia intenzione volerti conoscere. Puoi andare ora».
«No che non me ne vado», quasi mi urla contro.

Resto impassibile, a dire il vero. Non mi è mai capitato di incontrare ragazze così scontrose nei  miei riguardi e che se la tirassero così tanto.
Questa ragazza ogni volta, è sempre una scoperta.
Si, di merda però.

«Dovresti provare a mangiare del miele di primo mattino» le consiglio, strizzando un occhio.
«Mangio quel che mi pare. E se ho voglia di mangiare te, lo faccio» sbraita.
«Quindi, vorresti mangiarmi?» le domando avvicinandomi e leccandomi un labbro, provocandola.

Quasi mi respinge, allontanandosi. Il che mi eccita, da morire.

«Allora?»
«Mi hai rotto le palle» dice, sorridendo appena.
«Ma allora non sei così crudele quanto vuoi far credere?» le domando, vedendola rilassarsi, sciogliendo i pugni.
«È autodifesa», ammette.
«Cosa potrei mai farti io?»
«Scusami se ti sei posto in modo arrogante per un caffè versato accidentalmente e scusami se continui a darmi della sguattera»

La vedo ancora una volta agitarsi, scuotendo le braccia continuamente, senza tregua.
«Calmati, so ascoltarti senza tutto questo» le dico, bloccandola.
«Lasciami andare» la sento irrigidirsi sotto la mia presa.
«Mi spieghi realmente perché sei qui?» la lascio andare, vedendola nuovamente scuotere le braccia.

«Volevo puntualizzare, tutto qui. Devi abituarti alla mia presenza, che sia o meno di tuo gradimento e smetterla di farmi della sguattera» risponde decisa, fermandosi.
«Un discorso tira l'altro, allora» mi avvicino a lei, strizzandole appena l'occhio.
«Non provarci nemmeno a fare il galante con me» precisa, allontanandosi ancora una volta.
«Ti sembro un ragazzo galante?»
«Per niente.»
«Bene» dico andandomi a sedere.
«Bene», ribatte lei.

Scruto l'orario velocemente e noto che tra meno di mezz'ora, dovrò chiudere il mio studio.
«Hai altro da aggiungere?» le domando, aprendo il cassetto e prendendo la mia agenda, dove segno ogni prenotazione da parte dei clienti.

«No» ribatte secca.
«Usciamo?»
«Ma sei matto?» inarca un sopracciglio.
«Usciamo. Non adesso»
«No» ribatte, ancora.
Faccio le spallucce, senza aggiungere altro e mi dirigo verso la porta non appena sento bussare.
«Buongiorno», rivolgo al ragazzino uno dei miei sorrisi più gioiosi e finti.
«Salve» si accomoda sul lettino, ancor prima che glielo concedessi.

«Quanti anni hai, scusami?» domando.
«16. Ho 16 anni» ammette, prendendo dalla tasca un foglietto con l'adesione da parte dei suoi genitori.
«I miei genitori sono in sala d'attesa, ho chiesto loro di non entrare»
«Bene», rispondo.

Rivolgo un occhiata alla sguattera, o meglio, la ragazza. Ricambia il mio sguardo, sembra quasi volesse fulminarmi.
«Come hai detto che ti chiami?»
«Drew», risponde il giovanotto.
Scuoto la testa. «Intendevo la ragazza alle tue spalle» e ancora una volta, mi guarda come se volesse strangolarmi.

«Jessica, idiota. Jessica» sbotta, infastidita.
Iniziamo bene. «Oh okay Jes, puoi accomodarti sul divano, se proprio non vuoi andar via»
«So bene cosa posso fare e anche se non me l'avessi concesso, l'avrei fatto comunque» risponde senza esitazione, sedendosi comodamente sul divano posto lateralmente dal lettino.

«Cosa tatuiamo?» torno a rivolgermi al ragazzo, ignorando totalmente la mezza pazza.
«Mi piacerebbe avere un triangolo, all'interno del quale deve esserci un occhio ben definito» mi spiega.
«Vuoi sfumarlo?»
«Voglio che sia fantastico» ammette.

«Ragazzo, penso che tu abbia sbagliato tatuatore allora» interviene subito lei.
«Come, scusami?» domanda il giovane.
«Non credo sia in grado di soddisfare questa tua richiesta»
«Jess, disprezzami quanto vuoi, ma non sul mio lavoro. Ragazzo, procediamo», preciso.

All'interno dell'armadietto prendo una lametta usa e getta mentre lo vedo bagnarsi l'interno del braccio, per facilitare la depilazione.
«Quanto ci metteremo, su per giù?» mi chiede.
Controllo nuovamente l'ora e mi rendo conto che a breve avrei dovuto chiudere.
Ma sembra che debba trattenermi più del solito.

«Una mezz'ora piena», ammetto.
«Figliolo, io ti avevo avvisato. Non solo non è in grado, ma è anche lento» torna ad infastidirmi Jess, che continua ad essere comodamente seduta sul mio divano, abbracciando un cuscino.
Il ragazzo sorride appena, rivolgendomi poi uno sguardo.

«Se sentirai pizzicare, sappi che è normale» gli dico, non appena comincio a far entrare ed uscire velocemente l'ago dalla sua pelle.
«È fastidioso, ma sopportabile» ammette.
Annuisco, procedendo con il disegno dell'occhio.
Ha detto di volerlo ben definito e pieno di dettagli, per cui dovrei cambiare spesso macchinetta e fare dei giochi d'ombra. 

«Come mai questo tatuaggio?» gli domando, per rompere il ghiaccio, mentre continuo a tatuare.
«Sono un grande osservatore, io. Mi piace osservare tutto ciò che mi circonda e anche ciò che non mi circonda. Voglio sempre vedere oltre quel che c'è» comincia a spiegarmi.
«Per avere soltanto sedici anni, sei abbastanza maturo» mi esce quasi sotto forma di complimento.
«Grazie», risponde semplicemente.

«Direi che abbiam finito» riprendo a dirgli, a distanza di quindici minuti, circa.
«Adesso dovresti coprirmelo, non è vero?»
«Sì, per prevenzione» lo rassicuro, iniziando a fasciarlo.
«È molto bello, non me l'aspettavo» ammette.
«Non si parte mai con dei pregiudizi se non si sa» sorrido, sperando che questa piccola frase possa arrivare dritta a Jess, che è seduta a fissarmi, con lo sguardo unito e serio.

Lo accompagno alla porta, indirizzandolo verso Diana, la mia segreteria, per il pagamento e la ricevuta.

«Allora?»
«Cosa?» risponde Jes, vedendomi chiudere le porta.
«Usciamo?»
«Ma sei matto? Ti ho già detto no», dice a voce ben alta.
«Venerdì sera?» domando, alzando un angolo della bocca.

Si alza prendendo velocemente le sue cose e dirigendosi verso la porta.
«Ciao, Caleb», dice semplicemente.
«Ciao, pazza» rispondo, accompagnandola alla porta.
«Ah, una cosa, cazzo»

«Dimmi» la guardo, osservando velocemente la sala d'attesa che fortunatamente, è vuota.
«Venerdì sera, alle 19» dice, girando i tacchi e andando via.

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