Capitolo 1 - Caput Mundi -

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"Abi, nuntia [...] Romanis, caelestes ita velle ut mea Roma caput orbis terrarum sit"
Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 16


Roma, novembre 37 d.C.

Dopo mesi e mesi di resistenze e privazioni Locusta intravide da lontano la capitale del mondo allora conosciuto.

Non sapeva però se fosse stata una fortuna arrivarci da viva; molti schiavi tra cui bambini e donne, durante il tragitto, erano morti per la fatica, per malattia, per spossatezza e venivano abbandonati nel punto in cui perdevano la vita.

In cuor suo aveva sperato che la signora morte arrivasse a colpire anche lei ma il fato, superiore persino agli dei romani come il druido gli aveva riferito in una lezione, aveva scelto per lei l'umiliazione definitiva della schiavitù.

Le nuvole scure rispecchiavano il senso di vuoto che provava, mentre il pianto del cielo accompagnava l'ultimo tratto del loro viaggio e l'inizio di una vita di stenti e di dolore.

Entrarono nella città passando sotto un altissimo arco di un candido bianco, mentre la gente riversa per le strade li osservava: alcuni ridevano, altri li guardavano con disprezzo, altri ancora invece non li rivolgevano nemmeno uno sguardo, sottolineando l'indifferenza che provavano verso di loro.

Locusta rimirava la città con lo sguardo spento, quasi come se la bellezza della città eterna, di cui aveva tanto sentito parlare e che le si mostrava dinanzi in tutto il suo fascino, fosse sbiadita davanti al suo pessimismo nei confronti dell'umanità.

Attraversarono una lunga strada fatta di ciottoli così perfetti, levigati e lucidi da sembrare marmorei e si fermarono in una piazza vastissima al cui centro vi era la statua di uno dei tanti uomini che avevano segnato la storia di Roma.

Ad attenderli c'era un uomo che dall'aspetto e dall'abbigliamento sembrava essere il venditore di schiavi; era basso e grassoccio con un sorrisetto maligno dipinto sul volto e gli occhi brillanti.

Si avvicinò alla carovana e disse, con voce gracchiante, sfregando le mani compiaciuto - Sextilius, ecco che ritorni con un bel carico anche stavolta!

- Non ho bisogno delle tue lusinghe Lucius! - sbottò con ferocia il pretoriano - E vedi di pagarmi in fretta stavolta!

Il venditore estrasse un sacchetto pieno di sesterzi e glielo consegnò, il suo collega non pareva, però, soddisfatto del pagamento, a suo vedere, troppo basso.

- Non lamentarti! Questa è la somma che ho messo da parte per il precedente carico! - gli rinfacciò il venditore come se volesse addossargli la colpa.

- Razza di sanguisuga! - bofonchiò fra i denti il pretoriano che gli porse la lunga corda a cui erano legati i poveri schiavi - Per la prossima volta mi aspetto un compenso maggiore oppure te la faccio pagare, è una promessa! - sbraitò mentre spariva in groppa al suo cavallo.

Il venditore, ringhiando, tagliò la corda con il pugnale e una volta liberati spinse il primo della fila brutalmente verso una tendina quasi del tutto scolorita e sgualcita - Spogliati! Rimani così come tua madre ti ha generato! - urlò con la frusta tra le mani - Fai in fretta se non vuoi che mi arrabbi!

Il povero schiavo intimorito annuì e si tolse la tunica tutta sporca di fango con le mani tremolanti; a causa della sua insicurezza venne frustato e nel frattempo il mercante gli chiese cosa sapesse fare in modo da poterlo incidere su di una tavoletta di legno che successivamente fece indossare allo schiavo.

Nel mentre che il primo saliva tutto tremante sul palco di legno, il secondo, che era solo un bambino, compì gli stessi gesti del precedente con le lacrime agli occhi, così come fecero tutti gli altri senza lamentarsi e senza mostrare un minimo segno di pudore.

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