Capitolo 41 - Memento mori -

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"Non est quod nos tumulis metiaris et his monumentis quae viam disparia praetexunt: aequat omnes cinis. Impares nascimur, pares morimur"
Seneca, Epistulae ad Lucilium, XCI, 16

Roma, 9 giugno 68 d.C.

Era una notte d'estate nuvolosa, incredibilmente fredda e nonostante la vitalità che si respirava nelle vie della città, della gente incurante dei problemi e delle congiure di palazzo, vi era una strana tensione nell'aria.

Una giovane donna bussò alla porta di Locusta, con molta foga ed agitazione. La donna era sveglia, ma pensierosa: la situazione per Nerone diventava ogni istante sempre più drammatica, nemici nuovi si aggiungevano a quelli già esistenti e tutti bramavano la sua testa e il suo trono.

Rivolte sparse per l'Impero, in particolare in Gallia e in Palestina, avevano minato le ultime certezze che il Princeps aveva, ed era chiaro che era arrivata, per lui, l'imminente fine.

Quel rumore la colse di soprassalto e tornata nella realtà si precipitò immediatamente ad aprire - Atte - fece Locusta ingoiando la saliva - Che ci fate qui? - chiese sempre più preoccupata.

- L'imperatore ha bisogno di me - rispose lei semplicemente, come se il resto fosse superfluo. Locusta capì e sbiancò. La fece entrare.

- Sapete dunque? - domandò mesta Locusta, dopo averla fatta accomodare.

- Non sarei qui - le fece notare la giovane donna, con la voce sul punto di cedere: l'amava ancora, anche se lui l'aveva rifiutata e fatta esiliare, lei non aveva mai smesso di provare amore sincero e profondo per Nerone.

- Cosa volete che faccia per voi? - richiese Locusta cupa ma decisa.

- Preparare il pugnale avvelenato per Nerone - riferì lapidaria Atte. La sua voce sembrò aliena persino a se stessa, tanto che risuonò fredda e stoica alle sue orecchie - Il servo Faone vuole aiutarlo, è uno dei pochi che gli è rimasto fedele a corte...

- Ma non aveva con sé una boccetta di veleno che gli consegnai qualche mese fa? - interrogò l'ex schiava.

- Non so nulla di ciò, ma se il liberto mi ha detto di riferirvi questo, vuol dire che non ce l'ha più - disse lei facendo spallucce.

- Capisco - sospirò nuovamente - Significa che glielo hanno rubato o sequestrato, forse per evitare che si uccida

- E avere così il piacere di farlo fuori e di annunciarlo alla popolazione, d'altronde Galba ha assunto molto potere e nessuno oserebbe contestarlo

- In effetti, Nerone è l'unico ostacolo per possedere tutto l'Impero - disse infine Locusta prima di chiudersi in un pesante silenzio ed eseguire quel compito arduo e difficile.

Atte si sedette in un angolo e attese che lei terminasse il lavoro.

Ma Locusta era agitata, la mano le tremava, quando aveva ucciso altri,  Claudio in particolare, non era stata così tesa e nervosa. Alcune lacrime bagnarono le mani e il pugnale, il suo cuore era a pezzi.

"Forse solo così potrà avere la sua pace" si disse lei per farsi forza e proseguire nella preparazione di un veleno molto potente ed estremamente letale.

Come se fosse priva di un'anima e senza alcuna stanchezza alla fine, portò a termine il suo dovere e s'incamminò verso la sala dove c'era Atte, appoggiata su di una finestra, ad osservare il cielo.

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