Capitolo 4 - Ducunt volentem fata, nolentem trahunt -

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"Certa mittimus, dum incerta petimus; atque hoc evenit
in labore atque in dolore, ut mors obrepat interim"
Plauto, Pseudolus, vv. 685-686

Anzio, 15 dicembre 37 d.C.

In un'uggiosa e fredda giornata d'inverno, in villa situata a poche miglia dal mare,  Giulia Agrippina, figlia del generale Germanico, molto amato dal popolo ed adottato da Tiberio stesso, sorella dell'imperatore Caligola, appartenente alla dinastia Giulio-Claudia, era entrata in travaglio da poche ore. Aveva 22 anni ed era il suo primo parto.

Nel 28 d.C., l'imperatore Tiberio l'aveva data in moglie a Gneo Domizio Enobarbo  appartenente alla gens Domitia, di origine plebea, del ramo degli Enobarbi il cui nome significava "barba di bronzo" per via della caratteristica cromatica tipica di tutti i suoi componenti.

Un uomo di media statura, tozzo, panciuto, con le gambe sottili, la testa un tempo folta di capelli color fuoco, in quegli anni era quasi calva, il volto rugoso e cadente, dall'espressione maligna: il naso grosso, gli occhi azzurri piccoli e rotondi, la pelle verdastra; rispecchiava il suo carattere vile e crudele. In quell'anno aveva 54 anni.

Giulia Agrippina era, invece, una giovane donna d'indubbia bellezza, anche se un po' fuori dai canoni romani: incredibilmente alta, più della media, per via della sua origine germanica, come il resto della sua famiglia.

I lunghi capelli castano - biondi erano perennemente raccolti in accurate acconciature, il naso era lungo e appuntito, la bocca sottile, gli occhi marroni, penetranti, che le donavano un'espressione acuta e sveglia.

Anche se odiava il marito, dal giorno del matrimonio desiderava dargli un figlio, possibilmente maschio che potesse ereditare, se non addirittura, superare il ruolo del consorte, e finalmente dopo tanti anni di tentativi era rimasta incinta.

- Fate un altro piccolo sforzo, domina, manca poco - la incoraggiò la levatrice che stava iniziando ad estrarre la testa del bambino, mentre una delle ancelle asciugava il sudore sulla fronte della partoriente accompagnata dalle altre che le davano sostegno accarezzandole le mani e le guance.

Giulia Agrippina raccolse tutte le sue forze e con altrettanta energia diede l'ultima e decisiva spinta; lanciò un urlo di dolore che si propagò per tutta la stanza da letto. I suoi sforzi erano stati ricompensati perché il bambino era nato: emise il suo primo, forte vagito.

- È un maschio, domina! Un bambino bello robusto e paffuto! - precisò la levatrice con gioia mentre verificava che tutte le sue funzioni vitali fossero perfette, scongiurando qualsiasi malformazione - È sanissimo, domina! -  assicurò.

- Che la sacra dea protettrice dei neonati, Levana, ti protegga, figlio! - sussurrò la madre stremata sul letto, poi si voltò verso un'assistente della levatrice ed ordinò di andare a chiamare il marito.

A quel punto la levatrice poté effettuare la lustratio, ovvero il rito di purificazione e pulizia: si spruzzava il sale evitando che andasse sugli occhi o nella bocca, lo si puliva, gli si massaggiava il corpo ungendolo con l'olio, lo si bendava completamente per evitare che prendesse freddo.

Lo pose sul pavimento in attesa che il pater familias lo riconoscesse come figlio legittimo; arrivò Gneo Domizio, con il suo passo lento e cadenzato nella stanza da letto e trovò il bambino bendato ai suoi piedi.

Lo guardò prima con indifferenza, poi sorrise e si calò per raccoglierlo: lo aveva riconosciuto come figlio!

- Io, Gneo Domizio Enobarbo, prometto solennemente di allevare e curare con tutto me stesso mio figlio, Lucio Domizio Enobarbo - dichiarò alzando al cielo il bambino che iniziò a piangere

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