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"Credo che abbiamo fatto la scelta giusta" parló Romita, volgendo uno sguardo al marito non appena il figlio ebbe varcato la soglia della sua camera, allontanatosi dalla riunione di famiglia appena giunta a conclusione. Alzandosi, fece scivolare le mani sulle cosce, coperte da una gonna grigio fumo che sovrastava un paio di collant color carne. Lo sguardo, convinto e consapevole, ricadde agli occhi del marito, che la stavano scrutando.

La felicitá incontenibile che avevano provocato nel figlio, dandogli la notizia del prossimo acquisto, lo aveva reso vulnerabile a qualsiasi attacco sferrato alla sua innocenza e al suo desiderio intensissimo, in quell'istante, di possedere un motorino tutto suo. Ora, qualsiasi persona l'avrebbe potuto ferire senza che lui se ne potesse accorgere. Immerso nei suoi pensieri di avere finalmente un motorino tutto per sè, non aveva pensato a quali tranelli ci potessero essere alle spalle di quel regalo così fortemente desiderato e finalmente ottenuto. Anche se senza un preavviso. Solo con un fulmineo cambio di idea da parte di entrambi i genitori.

"Lo so Romita, lo so" parló l'uomo, braccia conserte e sguardo torbido. Un sospiro si precipitò fuori dalle labbra pallide, dalla tonalitá slavata.
"Domani mattina andremo alla concessionaria. Spero proprio che Carlo abbia portato con sé la figlia, altrimenti andiamo inutilmente" aggiunse poi, schiarendosi la voce con un colpo di tosse che rese limpida la voce dal catarro.
"Assicurati che lo faccia. Mandagli un messaggio e fagli capire che è davvero importante. Non possiamo farci sfuggire questa occasione" concluse la donna, lanciando un ultimo, volitivo sguardo al marito.

Andrea

"Fernando, ci sei?" domandò alterato mio padre, sulla soglia del portone di casa. In piedi ad aspettarmi attendeva, con la mano poggiata sulla maniglia della porta e lo sbuffo sulle labbra, il mio imminente arrivo.
Vestito a cipolla, credetti avesse pensato che per affrontare il freddo non ci sarebbe stata alternativa. Io, invece, attraversato da una scarica di adrenalina, percepivo il caldo come d'estate.

"Fernando, come ti sei vestito?" mi chiese mio padre vedendomi avviarmi verso l'uscita senza nemmeno indossare un cappotto. Tirando su la cerniera della mia felpa, chiarii le mie intenzioni di non voler indossare un ulteriore strato sul mio corpo.
"Ho caldo, papá. Non obbligarmi a vestirmi di più. So giá che suderó".
"Non se ne parla. Hai ancora le difese immunitarie basse, non puoi permetterti di prendere raffreddori". Sbottando, mi vidi obbligato ad afferrare la mia giacca dall'appendiabiti e, oltre all'indossarla, anche a chiuderla fino agli ultimi centimetri di zip.
"Su, cosa ti costa? In fondo non fa mica così caldo!" mi rimproverò mio padre, sul punto di rientrare per prendermi una sciarpa.
"No, no. Va bene così, lascia perdere" dissi gesticolando animatamente per evitare il proseguire delle sue azioni. Odiavo quando si fingeva preoccupato per me giusto per far spiccare la sua figura di padre che, molto spesso, affondava come una nave negli abissi marini, senza riemergere per lungo tempo.

Percorrendo rapidamente lo spazio che ci separava dal garage, scendendo ritmicamente i gradini che ci avrebbero condotti ad esso, mio padre mi domandó se fossi contento. Se lo fossi veramente, o quelle precedenti fossero state solo parole.
"Certo, certo che lo sono. Lo sai" dissi, sorridendo apertamente e non potendo far altro che rivolgergli i miei occhi, per quanto poco mi facesse piacere analizzare il suo volto. La barba incolta e ormai brizzolata faceva da cornice al volto arrossato perennemente di tonalità accese. Gli occhi, piccoli e dalle sclere sanguinolente, accompagnavano le labbra sottili e scolorite in un volto tutt'altro che in salute.
Non capivo perché continuasse a bere.
"Bene. Allora andiamo" annunció aprendo il garage con tutta la forza nelle braccia necessarie per spalancare e ruotare l'inferriata accompagnando il gesto del braccio a un gemito di dolore.

So che non sei tu e ti aspettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora