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Andrea

"Non può essere..." sentenziai, portandomi una mano alla bocca. Lo stupore si era appropriato delle mie labbra, facendole distanziate luna dall'altra di qualche millimetro.
"Non è tuo, quello" dissi subito.
"Certamente che è mio" disse lei, sollevando le sopracciglia delineate da un contorno più scuro della tonalitá dei suoi peli.

"Da chi altro lo avrei preso, altrimenti?" domandò, sollevando le spalle, coperte da due maniche a palloncino, nere come il resto della maglietta che indossava.

"Sono incinta, Fernando" disse, accennando un sorriso.
"Non sei incinta" dissi, a denti stretti, i pugni serrati. Le sue parole non mi avevano convinto. Ma più che altro, mi stavano facendo troppo male. Non volevo fosse la verità.

"Certo che lo sono" insistette lei. La crudezza con cui aveva sputato quelle parole mi fece sentire mancare. Allora era vero che fra me e c'era stato un rapporto, per di più non protetto?

Come avevo fatto a sbagliare così tanto in così poco?
Una nuova vita sarebbe nata da un amore che non c'era mai stato, da un errore. Gravissimo, enorme, che si sarebbe potuto evitare sin dal principio. Se non avessi accettato la proposta dei miei di stare con lei, nulla di tutto quello sarebbe accaduto.
Ma in quel momento mi ritrovavo da solo a dover affrontarne le conseguenze.

"Quando lo hai fatto questo test?" domandai con voce tremante.
"Oggi stesso" parló.
"Dice che sono incinta da una settimana. Ed è passata una settimana esatta dal tuo compleanno" disse, lasciandosi andare a spiegazioni a cui sarei potuto arrivare anche da solo.

"Sai, da quando... Sí, insomma".
"Merda" imprecai.
"Ti giuro che ti faccio del male" dissi, sentendo le mani prudere.
"Sei una lurida, schifosa donnaccia. Ecco cosa sei" dissi, stringendo i palmi in pugni per evitare di agire in maniera spropositata.
"Tu ti sei approfittata di me. Te ne rendi conto?" domandai.
"Cazzo. Non avrei mai fatto sesso con te. Mai. Per di più senza protezioni. Per di più con l'idea di avere un figlio. Da ubriaco. A questa etá. Da te" dissi, alzando il tono sull'ultima parola.

"Sei una merda di essere, ricordalo" dissi, digrignando i denti.
"Non m'importa cosa pensi di me" disse lei, avviciandosi a me.
"Il bambino è di entrambi e te ne prenderai le responsabilitá" disse, alzando le sopracciglia.

"Quel bambino non è mio" dissi, scuotendo il capo.
"Come no?" disse lei, incrociando le braccia.
"Non è detto. Magari sei andata a farti qualcun altro lo stesso giorno. Non so cosa tu abbia fatto. Io e te siamo stati assieme solamente di sera. Per il resto non so nulla. Spero soltanto che tu non mi abbia passato qualche malattia, ancora. Sarebbe il colmo" dissi, poggiandomi una mano sulla fronte.

"Davvero credi che sarei stata a letto con qualcun altro?" domandò lei, incredula, come se avessi pronunciato una blasfemia.
"Davvero credi che sarei stato a letto con una ragazza?" chiesi imitando la sua voce e alzandone il tono.
"Come tu non credi a me quando ti dico che sono gay, io non credo a te quando dici che il bambino è mio. Nostro".
Emanuela rimase in silenzio a udire le mie parole.

"Sono gay. Non ti ho messo incinta io" puntualizzai.
"Fernando, so che non ci vuoi credere. Ma è davvero così". Le sue parole mi fecero venire voglia di alzare le mani, cosa che non potevo assolutamente fare. Mi faceva troppo schifo, non avrei potuto permettermi di sfiorarla.

Da una parte, Emanuela aveva ragione. Non ci volevo credere. Ma per il semplice motivo che sapevo non fosse la verità.

"Vaffanculo. Povero bambino quando scoprirá che madre snaturata ha" dissi, passandomi una mano fra i capelli.
"Spero almeno conocerá il padre, il tizio che ha avuto il coraggio di fare sesso con una come te" parlai, sollevando lateralmente il labbro. Poi decisi di abbandonare la conversazione. Emanuela e io non avremmo più avuto molto di cui parlare. Sarebbero probabilmente passate delle settimane senza che uno avrebbe più rivolto la parola all'altro. Speravo.

Nel frattempo, cosa potevo fare?
Ero arrivato al capolinea. Non avrei più portato avanti la storia tanto desiderata dai miei genitori. Emanuela e io non eravamo più una coppia, sempre che lo fossimo stati.

Ero deciso a voler raccontare tutta la verità a Daniel. Gli avrei detto che per tutto quel tempo avevo mentito. Avevo solo fatto finta di stare con Emanuela. Non per farlo ingelosire o stare male. ma soltanto per il suo bene. Perché lo amavo perdutamente e non avrei mai voluto che i miei genitori agissero in maniera spropositata nei suoi confronti.

Gli avrei detto della difficoltà che avevo incontrato nel prendere una decisione così importante. Di quanto avessi sofferto. Di quanti pensieri avevo dedicato la notte per decidere cosa sarebbe stato meglio per noi.

"Tanto, ancora un anno e con la maturità me ne vado. Vado via, lontano dai miei genitori. E io e te potremmo tornare assieme" mi ero detto, nel prendere la dolorosa decisione di lasciare Daniel e porre le basi per una relazione finta che, ovviamente, non sarebbe durata più di tanto. Un mese e mezzo era davvero molto, a pensarci. Come avevo fatto a reggere così tanto? Ma soprattutto, a sbagliare così tanto in poco tempo?

Gli avrei raccontato del ricatto che i miei genitori mi avevano posto.
"O stai con Emanuela, o ne va di mezzo Daniel". Ricordo tale frase come fosse stata appena pronunciata.

Speravo davvero che Daniel potesse capirmi. Sapevo sarebbe stato difficile e che in un primo momento sarebbero potuti sorgere dubbi, domande e persino arrabbiature. Me lo sarei aspettato. Era normale. Chissà io come mi sarei comportato se fosse accaduto il contrario. Ma Daniel era Daniel. Sapevo quanto mi avesse sempre compreso, aspettato, perdonato. Più di una volta.
Quella volta non avrebbe fallito, anche se si trattava ormai dell'ennesima.

Avevo il forte bisogno di confessarmi al più presto. Non potevo più attendere. In quel momento avrei avuto le porte aperte. Ero deciso a lasciarmi ogni cosa alle spalle: Emanuela, i miei genitori, il ricatto, le minacce. Per quanto riguardava il bambino, ancora dovevo digerire la cosa. Ma dentro di me ero convinto si trattasse soltanto di una sua invenzione per convincermi a rimanere al suo fianco. La situazione era diventata talmente critica che le aveva provate tutte, persino inventare quella che, se si fosse trattata di una menzogna, sarebbe stato il suo toccare il fondo.

Ero certo che Daniel mi avrebbe fatto parlare, ascoltato, dato retta. Aveva dimostrato varie volte di essere sempre stato interessato a me. Anche quella mattina stessa, dandomi la possibilità di dire la mia.

La difficoltà sarebbe stata solamente nel trovare le parole giuste. Avrei dovuto dare vita a un discorso complesso e articolato, cercando i termini giusti per raccontare tutto quello che era stata una farsa per oltre un mese.
Ma Daniel avrebbe capito.
Avrebbe inteso le ragioni per le quale gli avessi mentito. Era soltanto per noi, per salvaguardare la nostra relazione. Non avrei potuto sopportare la sofferenza di Daniel soltanto a causa dei miei genitori. Non se lo meritava. E se avevo agito in un determinato modo, la motivazione c'era.

"Ti racconterò ogni cosa, ma promettimi che mi ascolterai" avevo sentenziato fra me e me, dando vita a un monologo.

Attendendo il passare delle ore, trascorsi una nottata infernale. I pensieri si accavallavano gli uni agli altri, impedendomi di chiudere occhio. Ma dentro di me ero felice. Sapevo che mi sarei finalmente liberato di un peso che mi aveva oppresso per ben una quarantina di giorni. Avrei detto la verità a Daniel e tutto sarebbe tornato a posto.

Ero davvero impaziente. Non vedevo l'ora che la verità venisse a galla.

So che non sei tu e ti aspettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora