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Andrea

"Hey, cosa ci fai a casa mia a quest'ora?" domandai al mio ragazzo che, corricchiando verso casa mia, sorrideva al solo pensiero di potermi abbracciare finalmente. Ormai erano le nove inoltrate, mi ero stupito nel vederlo venirmi a trovare in un orario cosí in là. Come faceva a sapere che i miei non erano a casa, quella sera?

"Volevo stare con te" disse, parandosi di fronte a me, le gote rosse per il freddo, il cappello malamente indossato sul capo. Il suo sorriso venne soffocato da un mio bacio a stampo, che diedi ancor prima di fargli varcare la soglia di casa.

"Dai, Ande! Sto gelando!" lamentó lui, pestando ripetutamente lo zerbino sotto ai suoi piedi.
"Aspetta" sussurrai, guardandomi cautamente attorno e richiudendo la porta dietro di me con delicatezza. Posando una mano sul suo petto, lo spinsi dolcemente indietro.
"Cosa... cosa fai?" domandó, osservandomi, la bocca schiusa, gli occhi puntati sui miei.
"Andiamo a farci un giro. I miei tornano a breve, sono usciti a cena, ma credo che per le dieci saranno di ritorno per rompermi le palle" spiegai.
"Se mi vedono con te sono guai" dissi con un filo di voce. Daniel mi ascoltò, annuendo.
"Vieni" dissi, prendendolo per mano mentre lui rimase in silenzio.

"Che bello che tu sia qui" esclamai al mio ragazzo, che strinse il mio palmo che aderì contro al suo. Attorno a noi, il buio e il silenzio regnavano incontrastati in quella sera di fine autunno. Le vacanze natalizie erano alle porte e l'aria di festa si respirava ovunque, anche in quel paesotto: le luci decoravano i balconcini e le terrazze ospitavano Babbi Natale arrampicanti sulle grate. Per le strade, invece, la poca gente che aveva avuto l'audacia di affrontare il freddo serale in quella notte di dicembre pareva essere felice, stretta fra le calde sciarpe e i berretti, chi fra pon pon, chi fra brillantini di mille colori a decorarne le morbide superfici.

"Ti piace il Natale?" domandai a Daniel, che volse i suoi occhi ai miei. Un lampione in mezzo alla carreggiata illuminó a terra la sua ombra, che scomparve, riducendosi a pochi metri, centimetri, millimetri.
"Molto, anche se preferirei festeggiarlo in Spagna come facevo quando ero piccolo. E a te?".
"Anche. Mi piace tanto" risposi, sorridendogli. Poi strinsi ancora di più la sua mano.
"Così mi fai male, peró..." lamentó lui. Osservandolo, notai che lui stesse facendo lo stesso. Sollevai cosí il braccio, portando le nostre mano unite alla bocca e sfiorando con le labbra il dorso della sua.

"Che sorpresa hai fatto a Tommaso, qualche giorno fa" tornò a far suonare la sua voce il mio ragazzo.
"È vero. Ma cosa stavate facendo in mezzo alla palestra, mezzi sudati?".
"Mezzi?! Stavamo grondando di sudore, letteralmente" puntualizzò.
"Stavamo facendo a gara a chi facesse più addominali nel minor tempo possibile" disse.
"E chi ha vinto?".
"Io, ovviamente" parló vaneggiando.
"Ma solo perché, poverino, Tom si è commosso a vedermi dopo così tanto tempo che ha mollato per venirmi a salutare. Tu, invece, mi stai sempre col fiato sul collo" dissi, imitando la mia frase a gesti.
"Andrea, quante volte ti ho detto che odio la menta! Smetti di mangiare caramelle e poi di alitarmi appositamente!" lo rimproverai, scatenando la sua ilaritá.
Lasciai poi la sua mano, mettendomi in disparte.
"Hey, cos'è questo cambio improvviso di umore?" domandai.
"Lo fai apposta".
"Sì, per darti fastidio" ammisi, facendo ondeggiare il capo e imitando la sua voce.
"E questo lo chiami rispetto?" chiese, mettendola sul pesante.
"Hey, ma te la prendi per così poco?".
"Sì, perché non è la prima volta che lo fai. Smettila, Andrea" disse, incrociando le braccia.
"Okay, va bene" risposi, chiudendo lì il discorso. Volevo vedere quanto potesse durare il silenzio fra noi due che di stare zitti, quando eravamo assieme, non ne volevamo sapere nulla.

"Senti, scusami per prima" parlai, notando che Daniel stesse facendo sul serio. Il suo sguardo puntato dritto davanti a sè mi stava davvero importunando.
"Dane?". Finalmente mi guardò, espressione seria e braccia conserte appoggiate al petto.
"Scusami" dissi, guardandolo. Si fermò ad osservarmi, ma non parlò.
"Cosa devo fare per farmi perdonare?". Silenzio.
"Ah, già" capii. Nei pressi di un cestino, posto, in mezzo al marciapiede, accelerai il passo e gettai il mio chicles all'interno del sacchetto dell'immondizia.
Daniel, a quel punto sorrise.
Lo raggiunsi e mi sporsi per baciarlo.
"Non adesso" precisó, scostandosi.
"Va bene, l'importante è che ora per lo meno mi parli" dissi, soddisfatto.

So che non sei tu e ti aspettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora