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Andrea

"Mancano ancora tre ore..." sentenziai, portando i miei occhi verdi l'orologio. Erano ancora (o forse giá) le dieci. Il mio treno sarebbe partito a distanza di centottanta minuti. Avrei dovuto cercare qualcosa da fare nel frattempo.
La mia giacca di jeans, chiara e aperta sul busto, riscaldava appena il mio corpo, col tessuto sottile di cui era fatta.
L'aria condizionata della stazione faceva sembrare quel mite giorno di inizio giugno un qualsiasi dí di marzo. Fuori, il firmamento celeste era privo di nuvole che, chissà dove, erano state allontanate nelle prime ore della mattinata da intense folate di vento. Ormai sveglio dalle cinque di mattina, avevo notato il cambiamento nonostante il cielo fosse ancora immerso nell'oscurità che rendeva tutto cosí misterioso e sconosciuto.

Le mie scarpe, mocassini in pelle, lasciavano traspirare la caviglia che, nuda, mi faceva avvertire la pelle d'oca. Passando rapidamente una mano sulla pelle in quella zona, intenzionato a riscaldarmi invano, accavallai le gambe sulla sedia in acciaio sulla quale sedevo da ormai venti minuti. Accanto a me, una ragazza coinvolta in una conversazione burrascosa con una interlocutrice donna, mordeva un panino senza neppure accorgersi, probabilmente, di cosa i suoi denti stessero selvaggiamente strappando a pezzi. Pollo, prosciutto o un salume vegetale. Poco importava. Dopo un rapido masticare ingurgitava il boccone che le riempiva le gote fino a farle estendere in due sfere gonfie di cibo.
Bionda, attorcigliava attorno alle dita una ciocca di capelli chiari e liscissimi, forse piastrati.
Perso a osservarla in maniera fin troppo intensa, non mi resi conto del fatto che avesse appena terminato la sua chiamata, cosí come il panino, ridotto a poche briciole riassunte sulla sua magliettina rossa e all'interno di un foglio di carta stagnola che, poco dopo, le sue mani andarono ad accartocciare.
Sollevati gli occhi scuri verso i miei, notò con quanto interesse la stessi osservando. In realtà, la mia curiosità era data soltanto dal modo bizzarro, quasi grossolano con cui una ragazza mingherlina e dai tratti angelici avesse grottescamente parlato al cellulare divorando due fette di pane generosamente farcite.

"Sei anche tu diretto verso la capitale, a breve?" domandò una voce femminile, che mi parve provenire dalle sue labbra tinte di un rosso scuro.
"Scusa?" chiesi, incredulo. Non avrei pensato fosse stata lei a rivolgermi la parola.
"Prendi il treno dell'una meno dieci per Roma?".
Pensando fra me e me, la intesi come una provocazione. Aveva osato tradurre in parole più colloquiali una proposizione giá di per sé di facile comprensione. Sapevo quale fosse la capitale italiana.  Ma forse aveva solo riformulato la domanda con altri termini per non essere ripetitiva.
"Sí" risposi, accennando un sorriso per non sembrare ostile. Lei, ricambiano apertamente, annuí.
"Anch'io" rispose, prelevando dal suo zainetto blu una caramella dall'involucro dello stesso colore delle sue labbra. Il mio stomaco cominciò a lamentare l'assenza di cibo al suo interno. Cosa avrei fatto per quel dolciume.

"Manca ancora un po' " sentenzia scartando la leccornia, di dimensioni contenute in confronto all'involucro che la conteneva.
"Mh mh" confermai le sue parole.
"Da dove vieni?" attaccò ancora bottone.
"Come?" mi ritrovai a domandare nuovamente chiarimenti. Avevo solo la testa altrove.
"Sei di Torino?". Avrei trovato la sua domanda eccessivamente invadente se non fosse stato che mi stavo annoiando a morte. Non avrei avuto nessuno con cui parlare per ancora due ore e mezza.
"Sí. Tu?".
"Io vengo da Venezia. Sono scesa qui a Torino per fare visita a una mia amica e adesso parto per Roma, dove studio all'università" mi spiegò.
"Ho capito". Guardando avanti a me, notai il tabellone degli orari dei vari treni con relative città scritte a caratteri cubitali, in una tonalità giallo arancione su sfondo corvino. Ma nonostante questo ebbi difficoltà a trovare la mia partenza.

"Fra circa un quarto d'ora dovrebbero inserire Roma sul tabellone" disse, come se avesse letto nella mia mente il tentativo fatto invano alla ricerca della mia destinazione.
Ero così inesperto di partenze. Non avevo mai preso un treno, prima di quel momento. Solo una volta, con Daniel. Per andare al mare. Poi, i miei viaggi si erano sempre ridotti a estenuanti sedute in auto fino in Portogallo, ogni tanto sostituite da una rapida alternativa, l'aereo. Visitare i parenti era piú una prova di resistenza che un piacere.

So che non sei tu e ti aspettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora