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Daniel

"Okay, vengo subito" sentenziai, sbraitando come un forsennato alla finestra, mani poggiate all'inferriata cinerea, fredda e liscia, capelli mossi al vento. La mia voce, elevata, produsse un'eco intensissima. Il mio interlocutore, sul marciapiede di una viuzza visibile dal balcone della camera dei miei, si reggeva in piedi accanto alla sua automobile parcheggiata, coprendosi la fronte con una mano che fungeva da visiera. La luce solare, intentissima, infastidiva anche lo sguardo meno sensibile ai raggi solari, obbligando gli occhi a ridursi in fessure, schiacciati dalle sopracciglia corrugate.
Attendendo che mi preparassi e lo raggiungessi, come previsto e ribadito poco prima, aguzzò l'udito per poter sentire coaa avessi da dirgli, ruotando lievemente il capo.

"Daniel, perché urli così?" domandò mia madre, comparsa sul balcone per stendere un paio di asciugamani sullo stendipanni, dalla vernice verde scuro ormai usuratasi.
"Papá mi sta aspettando" dissi, osservandola prelevare un paio di mollette fra le dozzine ammassate all'interno del cestino color senape.

"Ricordi? Dobbiamo andare a prendere i risultati dell'esame del sangue" specificai, aggiungendo dettagli alla mia spoglia proposizione.
"È vero. Senti, dì a papà che stasera usciamo per le nove. La proiezione del film è stata posticipata" parlò lei, cambiando completamente discorso.
"Va bene" dissi, rientrando in casa. Ma mi arrestai per porre una domanda alla mia interlocutrice.
"Che film andate a vedere tu e papá?".
"Cinquanta sfumature" sentenziò, facendomi roteare gli occhi non appena sentii pronunciare il titolo.
"Ci mancava solo quello..." sussurrai.
"Ma Daniel, non ci vedo nulla di male" contestò Maria Inés, facendo spallucce e inforcando un calzino a pois rosa, che venne fissato sulla barra dello stendipanni.

"Come? Se ti dicessi che voglio fare le stesse cose del film con Andrea come reagiresti?".
Mia madre fece spallucce, di nuovo.
"Non sarebbero cose che mi riguardano" parlò poi, dandomi le spalle e sistemando la biancheria accanto alle calze, ordinate per colore. Percepii malizia, che cercai di scacciare deglutendo un fiotto di saliva che scivolò giù per la gola.
"D'accordo, ciao" mi affrettai a concludere la chiacchierata, rientrando in casa rosso come un peperone.

E comunque, non avrei fatto le stesse cose della proiezione con Andrea.

"Daniel, quanto mi hai fatto attendere? Quasi peggio di tua sorella e tua madre messe assieme" sentenziò mio padre, osservando il suo costosissimo orologio al polso che, preciso e obiettivo, evidenziava i miei quindici minuti di ritardo.
"Scusami. Io e mamma abbiamo discusso" esplica, entrando in auto e richiudendo con delicatezza la portiera alla mia sinistra.
"Su cosa?" domandò facendo ruotare le chiavi dell'auto all'interno della fessura per farla partire.
"Nulla di che" mentii, non volendo esporre il reale argomento sul quale avevamo trascorso quasi dieci minuti.

"Secondo te è tutto a posto?" domandai, facendo riferimento ai miei esami del sangue, osservando dalla mia destra il corso, affollatissimo. I semafori, quasi perennemente rossi, venivano attraversati da poche auto per volta. Le file erano così lunghe che soltanto cinque o sei auto riuscivano a passare a ogni turno.

"Cazzo, qualche rotonda potrebbero metterla!" imprecò mio padre, dovendosi fermare di fronte a un semaforo giallo.

Guardandomi attorno, il grigio poteva definirsi il colore principale, nell'urbanità. Dato dai palazzi, dai marciapiedi, dalle strade, dalle carrozzerie delle auto, veniva contrastato da qualche tocco di verde delle tenere foglioline che stavano nascendo sui rami degli alberi, anch'essi di una tonalità oscillante fra il marrone e il grigio. Anche il cielo, quel giorno, era cinereo, coperto interamente da nubi, che davano un senso di apatia al firmamento, privo di raggi solari o di punte di azzurro in tutta la sua estensione. Il tempo era mutato in un batti baleno.

So che non sei tu e ti aspettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora