45-1716

60 11 3
                                    

Daniel

"Maledizione!" imprecai, non riuscendo a trattenermi dall'esprimere la rabbia che sentissi dentro di me. Osservandomi attorno, la luce intensa a ridurre i miei occhi in sottili fessure, cercavo di tradire il mio sguardo convincendomi che ciò che stavo vedendo non fosse la realtà.
Prima due, poi sei, poi ancora il doppio, inclusi anche me stesso in quel conto che aveva superato di un'unità la dozzina.
Alla partita di calcetto in dispari.

"Tredici, cazzo. Siamo intredici" digrignai a denti stretti, ma il tono di voce risultò essere abbastanza elevato da far sentire alla perfezione le mie parole agli avversari, che si trovavano nell'altra metà campo.

"Ma dove diamine è finito quell'altro?" mi domandai, allargando le braccia e facendo scontrare i palmo delle mani contro alle cosce. I miei compagni di squadra, braccia conserte e piede puntato a terra, osservavano in malo modo quelli della squadra nemica che, guardandosi attorno, attendevano l'arrivo del compagno di squadra a loro mancante.

"Non possiamo giocare con un giocatore in meno?" domandó Marco, della squadra avversaria, percependo il mio nervosismo che si sarebbe potuto trasformare in una risposta piuttosto arrogante. Bel rischio.

"Non sia mai..." riflettei.
"Anzi, senza il capitano non si può proprio" dissi, non che me ne fregasse del ruolo che ricoprisse colui che, in quel momento, era tanto atteso da tutti e tredici. Ció a cui puntavo era sapere se si sarebbe presentato lui in quanto persona eticamente corretta.

"Eccolo, è laggiù!" lo indicarono due della sua squadra, con un lieve sorriso sulle labbra. Erano scampati a uno svantaggio che avrebbe permesso alla mia squadra di scegliere il campo e di avere il possesso palla per averci fatto tanto attendere.

"Il solito ritardatario..." mi lamentai, incrociando le braccia.
"Andrea!" esclamò Marco, raggiungendolo. Lui, corricchiando, si apprestò a posare a terra il suo zaino nero, gettato malamente in modo da accelerare i tempi. Il suo fiatone non riuscì ad avere la meglio sul sorriso che aleggiava sulle sue labbra in quel momento.

"Scusate" disse, allargando il sorriso sulle labbra, voltando poi i suoi occhi in quelli di ognuno di noi. Non appena le sue pupille entrarono in contatto con le mie, distolsi lo sguardo altrove, aprendo bocca per parlare, ignorandolo del tutto.

"Allora, iniziamo?" domandai a Marco, che consideravo l'unico degno di parola nella sua squadra di addormentati. Al di lá di Andrea che, però, non mi andava a genio.
"Ah, Daniel. Siete tu e Andrea i capitani delle vostre rispettive squadre" mi fece notare, ponendo avanti a sè i palmi delle mani.

"Palla o campo?" mi domandó Andrea, distraendosi poi un attimo per rivolgere lo sguardo a Marco, al quale sorrise.
"Campo" risposi, gettando la palla che tenevo fra il busto e il braccio contro al suo addome, che peró venne salvato dalla prontezza con cui le sue mani afferrarono la sfera di cuoio. Rivolgendomi un occhiolino, credetti avesse percepito l'irritazione che provassi in quell'istante. La pelle sembrò prudere, le mani mi bruciavano e giurai di dover contare fino a dieci al quadrato per calmare la voglia che avevo di mollargli un ceffone.

"Bene, si comincia!" esclamó poi a gran voce, ponendo la palla al centro del campo, dando vita alla partita.

La nostra squadra si muoveva rapidamente e, nonostante non fossimo dieci come in una vera partita, in sette si riusciva comunque a gestire bene il campo enorme. Da me si giocava davvero bene. C'era chi serviva assist perfetti, chi difendeva la palla, chi marcava e chi attaccava. Il tutto senza commettere falli. Nell'altra squadra, a differenza di Marco e Andrea, ogni occasione era buona per cercare di ottenere vantaggi.
"Fallo, fallo" urlavano alcuni di loro buttandosi spudoratamente a terra quando invece che un fallo era stato solo un contrasto regolare.
"Rigore!" lamentavano poi, autodecidendo le punizioni ai calci che davamo per errore.

So che non sei tu e ti aspettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora