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Andrea

"No, no..." parlai, a bassa voce. Rigirandomi nel letto dimenavo il mio corpo. Al contrario, i miei occhi parevano essere stati paralizzati. Strizzandoli ripetutamente, speravo di aprirli al più presto e svegliarmi da quell'incubo, che ancora non sapevo fosse tale. La pelle d'oca aveva lasciato il posto a una caldana che avvolgeva tutto il mio corpo, facendomi percepire una temperatura elevatissima sotto alle coperte. La cute, coperta da un lieve strato di sudore, specie sulla nuca e le ascelle, era bollente. La testa pareva stare per esplodere da un istante all'altro.
Le palpebre, bagnate di lacrime, erano appiccicosamente unite le une alle altre, serrando le sclere, arrossate.

Gemendo rumorosamente ruotai il capo in maniera incontrollabile sul cuscino, bagnato di sudore e lacrime di terrore.
"NO!" esprimetti a parole il mio sconforto ancora una volta. Ma questa, non potendo trattenere il tono di voce elevato.
Svegliandomi finalmente, sollevai il mio busto, che mi fece ritrovare in posizione seduta sul letto, i palmi delle mani sul materasso, inumidito in tutta la sua lunghezza per l'eccessiva quantitá di calore sprigionata dal mio corpo quella notte.

Passando una mano sulla fronte, mi resi effettivamente conto di in quali condizioni fossi: completamente bagnata, sembrava bollente, ma era in realtá l'unica parte del corpo ancora fresca.
Le lacrime, scivolate sulle guance, avevano raggiunto la tempia destra, lato sul quale avevo trascorso quella nottata travagliata, senza riuscire a riposare.

"Merda, ancora quel sogno" lamentai, spogliando il mio corpo dalle coperte, la principale causa del calore che avvertivo a quell'ora della mattina. Erano soltanto le sei e dieci minuti.
I miei genitori erano giá usciti per lavoro, fortunatamente. La causa principale del mio incubo, infatti, erano proprio loro e non era la prima volta. Quelle immagini, quei pensieri mi bombardavano la mente ormai da settimane.

Stropicciandomi il volto con le mani, cercai di cancellare ogni rimasuglio di quell'incubo dalla mia mente, che però continuò a tormentarmi ancora, quasi come se fossi ancora nel sonno.

"È sbagliato, lo so" dissi, scuotendo il capo.
"Prometto di agire al più presto" dissi a me stesso, rendendomi conto della gravità dell'incubo che avevo fatto non una, bensì due volte. Era incredibile come la realtà potesse arrivare a influenzare i sogni fino a farli sembrare una seconda vita. Una vita che, però, non si può controllare. Non si sa mai cosa accada, non si sa come ci si comporti. Non si sa quando avverrá la fine e che modo avverrá.

Nel mio caso, purtroppo, ultimamente ciò riguardava anche la mia vita reale: non sapevo se stessi davvero scegliendo io per me stesso o ci fosse qualcun altro ad agire al posto mio. Mi sentivo come se, con le mie mani, non riuscissi ad afferrare quello che ritenevo fosse mio: le mie decisioni, le mie preferenze, i miei sentimenti. Era come se tutto ció fosse contenuto in mani altrui, che si guardavano bene dal lasciarmi sfiorare quello che stavano avidamente tenendo lontano da me.
Ma allora era vero: non ero più padrone di me stesso.

"Fernando, la colazione" parló la voce di mia madre, facendomi sobbalzare. Portando una mano al mio cuore, sentii come il battito cardiaco fosse accelerato in un battibaleno.
Alzandomi dal letto, mi apprestai a iniziare quella nuova giornata, che di mio aveva ben poco.
"Hai dormito bene?" domandó lei, dandomi la conferma che non fosse ancora uscita di casa. Speravo con tutto me stesso che entrasse dopo al lavoro, piuttosto che si fermasse a causa per una giornata presa di riposo.

Nella sua domanda, reiterata ancora una volta, percepii un filo d'ipocrisia nonostante lei non ne potesse nulla dell'incubo che avevo fatto poco prima. Ossia, la causa di quell'incubo era lei. Ma non avrebbe potuto sapere che avessi fatto un incubo. Non leggeva mica nelle mente.

So che non sei tu e ti aspettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora