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Daniel

Altro mese, altra batosta. Sin dal principio, il primo maggio si sarebbe presentato giá ostile per l'avvenimento di immensa rilevanza che presentava. Se poi ci si mettevano le verifiche e le interrogazioni che fungevano da decoro agli ultimi, intensi giorni di scuola, ci si poteva considerare a posto.

Alzandomi svogliatamente dal letto, mi ero reso conto di aver dormito per l'intero pomeriggio. Le ultime due notti insonni non mi avevano permesso di fare altro durante le ore diurne. Troppo affaticato, non avevo avuto la forza di far nulla, se non conciliare il sonno e recuperare la stanchezza non solo di una ventina di ore notturne del weekend passate a rigirarmi nelle coperte, ma di un intero anno scolastico, faticosissimo sin dal principio.

"Da settembre a dicembre il trimestre è stato facile, scolasticamente parlando" ragionai, rifacendo il letto.
"Ma il coma di Andrea mi ha portato via tre mesi di sonno".
Sollevando entrambe le coperte, distese una sopra l'altra sul mio letto, mi domandai come facessi a dormire con un lenzuolo e due di esse al mese di maggio. Con le temperature miti che vi erano, sarebbe sembrato anormale vedermi appisolarmi la sera senza nulla a coprirmi e ritrovarmi la mattina dopo imbaccuccato in quel groviglio di lana, cotone e piume.

"E questa cosa ci fa qui?" mi ero domandato, osservando precipitare un pezzo di carta a terra, che ruotò per qualche istante nell'aere, fino a giacere sul pavimento dopo un rapido, delicato fruscio. Afferrando la sua candida superficie fra le dita, malamente inginocchiatomi per poterlo osservare, lo rigirai fra l'indice e il pollice che, con la massima delicatezza, lo tenevano nella loro presa.

Sulla parte anteriore di quel cartoncino bianco vi era una foto di Sonia. Era la prima Instax che avevamo stampato assieme adoperando la macchina fotografica di mia sorella, regalatale per la promozione di prima media.

Osservandola accuratamente, analizzai il volto della mia ex ragazza che mi parve cosí estraneo, troppo lontano da me e, a malincuore, quasi dimenticato.

Il suo viso ovale era contornato dai mossi capelli castani, che aveva sempre portato piuttosto corti, all'altezza del mento. Gli occhi, blu, non erano troppo grandi e contornati da poche ciglia corte ma scure, a differenza delle labbra che erano piene. Il suo collo portava un ciondolo, quello in oro bianco che le avevo regalato. Pazzesca la somma di denaro che i miei mi avevano lasciato spendere per lei. Pensavo fossero i sessanta euro meglio spesi dei miei quindici anni, quasi due mesi di paghetta messi da parte per lei.

Io, accanto a lei nella foto, ero venuto piuttosto male. I capelli, che portavo più corti rispetto ai miei diciassette anni, erano più chiari di come si fossero ormai avviati all'essere castani chiaro e non più biondi. Mi piacevano di meno, nonostante lei adorasse la particolaritá del loro colore, "non castano come quello di tutti". Con un sorriso un po' tirato, avevo concluso la bella espressione con un occhio mezzo chiuso.
"Ma sei bellissimo lo stesso" mi aveva detto lei, sorridendomi ed esternandomi il suo apprezzamento, che andava al di là del mio aspetto fisico.

Guardai la data impressa sulla fotografia. Giugno duemilaquattordici. Pazzesco come fosse passato il tempo. Quella foto avrebbe presto compiuto tre anni.

Rigirandola ancora fra le dita, pensai a dove potessi riporla. Il posto dove l'avevo lasciata, sotto al cuscino, non era sicuro. Prima o poi mi sarei scordato che la tenessi là sotto (come avevo d'altronde appena fatto) e avrei finito per perderla. La sofferenza che mi avrebbe causato sarebbe stata, poi, inguaribile.

So che non sei tu e ti aspettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora