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Heaven,
Troye Sivan

Andrea

Cosa avrei fatto a partire da quel momento? Senza più il bambino, che avevo scoperto non essere mio, mi sentivo perso.
Se da un lato avevo considerato la situazione drammatica non appena avevo scoperto sarei diventato padre ad appena diciotto anni, dall'altro lato mi ero fatto chissà quali illusioni.

Da quando Daniel mi aveva detto di voler crescere il bambino al mio fianco mi ero sentito in paradiso.  Avrebbe voluto dire solo una cosa: Daniel ci teneva ancora a me. Non mi odiava come avevo creduto fino a quel momento. Se il suo desiderio era quello di crescere una creatura assieme a me era perché fra me e lui non c'era più quell'odio che tanto avevo temuto e che pensavo lui provasse ancora nei miei confronti. E invece le cose sembravano essersi messe a posto. Ci stavamo riavvicinando. Quel bambino sarebbe potuto essere un nostro riavvicinamento.

E

goisticamente pensavo che il bambino sarebbe stato un buon modo per farci rimettere assieme. Ma dall'altra parte non potevo negare che l'idea di crescere una piccola creatura mi entusiasmada concretamente.
Ancora prima che Daniel facesse la sua dichiarazione, avevo sorriso all'idea di dovermi fare in quattro per il mio bambino.

Solo dopo pianti di solitudine, sorrisi di gioia e parole soffocate era venuta fuori la sua verità.
Il bambino e l'aborto di Emanuela gli stavano tanto a cuore perché anche lui avrebbe voluto crescere quel bambino. Avrebbe voluto farlo al mio fianco, e vederlo diventare grande. Ma quella vita era destinata a spezzarsi troppo presto.

"Maledizione, no..." imprecai nel sottoporre i miei occhi alla più cruda delle letture.

Ho deciso di abortire. Il bambino e io siamo in Francia, ormai non puoi più fare nulla per cercare di impedirmelo.
Emanuela

"Non è possibile..." dissi fra me e me, lasciando cadere il telefono dalle mani, che avevano immediatamente allentato la presa. Passando una mano fra i capelli, mi lasciai cadere sul cuscino alle mie spalle. Digrignando i denti e cercando di rimanere immobile, venni preso da una voglia irrefrenabile di urlare, di strapparmi i capelli, di graffiare ogni centimetro della mia pelle.

"Che cosa è appena successo..." sussurrai, iniziando ad agitarmi. Respiravo a fatica, l'aria sembrava ormai non riuscire a soddisfare il mio bisogno di prendere fiato.
"Non posso credere stia succedendo davvero" ripetei, stropicciando fra le dita i miei capelli castani, immerso nel sudore che dalla fronte era colato giú per tutto il viso, mescolandosi alle lacrime di rabbia che avevano bagnato ogni centimetro della mia pelle: le gote, le tempie, le labbra.

"Quel bambino deve nascere" lamentai.
"Non può morire senza essere nato". Muovendomi sul letto, sollevai le gambe, mettendomi in posizione fetale. Strinsi le ginocchia con il braccio, cercando di farmi piccolo ; volevo scomparire. Se non fossi stato in grado di far vivere quel bambino non avrei potuto meritare di essere felice.

"Non può. Non può abortire". Continuai a lamentarmi. Ma nella mia sofferenza non avevo pensato di essermi completamente abbandonato a me stesso in un posto in cui non avrei potuto farlo: casa mia.
I passi, lungo al corridoio in parquet, si stavano facendo sempre più intensi. Si poteva sentire chiaramente il rumore che essi facevano anche col cuscino che tenevo piegato sul capo per tentare di sovrastare il rumore dei pensieri.

Una mano poggiata sulla maniglia, una porta spalancata senza il permesso, uno sguardo in grado di denudare anche il minor pudore.

So che non sei tu e ti aspettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora