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A: De trú alfa

Andrea

"Fernando, non è il caso che tu mi dia dimostrazioni" parlò mia madre, incrociando le braccia al petto. Il suo sguardo severo gravava sulla mia persone. Le sue pupille dilatate erano saldamente fissate ai miei occhi, mentre la fronte lievemente aggrottata faceva ricadere le palpebre sugli occhi, facendo assumere loro una dimensione ridotte.

"Se ti dico che è così, è così" aggiunse poi, scrutandomi con i suoi occhi minuti, in quel momento. I capelli, rossi, ricadevano all'altezza delle gote in boccoli asciutti, leggermente crespi.
"In che senso è così?" domandai, forzando la pronuncia dell'ultima parola.
"Mamma, non puoi sapere cosa provo" dissi, intenzionato a far giungere al capolinea la conversazione nel modo più netto possibile. Non avrei più voluto dare retta alle sue parole, reiterate all'infinito chissà a quale scopo.

"Volevi il motorino? Allora adesso mi ascolti bene" disse avviciandosi a me che , che sollevatomi per dirigere i miei passi altrove, mi voltai a osservarla. Piuttosto bassa rispetto a me, mi provocò timore in ogni caso, con il suo sguardo tutt'altro che rasserenante.

"Tu ed Emanuela starete assieme" dichiarò, scatenando la mia ilaritá.
"Come?" domandai, astenendomi per un soffio dal riderle in faccia.
"Smettila di fare il buffone. Hai capito bene". Risi e risi ancora.
"Ma siamo mica nel mille e qualcosa, dove i matrimoni si combinavano!" esclamai, prendendola ancora sull'ilare.
"Cos'è, Emanuela ed io abbiamo per caso da portare avanti un regno?" domandai, quasi con le lacrime agli occhi.
"Fernando, taci. Parlo io" dichiarò, abbassando il tono della voce. La conversazione non era terminata e anzi, avrebbe adottato sfumature più profonde.

"Ti do una settimana di tempo per parlare con Daniel e lasciarlo" sentenziò, arrivando al sodo in un lasso temporale brevissimo; fino a poco prima aveva cercato di persuadermi con soavi giri di parole.
"Per quale ragione?" chiesi, alzando un sopracciglio.
"Tu ed Emanuela starete assieme" reiterò.
"Ma non ci penso nemmeno!".
"Non devi pensarci. Abbiamo pensato a tutto noi". Il mio sorriso abbandonó le mie labbra che l'avevano accolto per due buoni minuti.

"Perché mi fate questo?" domandai, deglutendo un fiotto di saliva. Lei, mosso qualche passo su e giù per il parquet, irrorato di linee color caramello, si apprestò a coinvolgere mio padre, fino ad all'ora escluso dai nostri discorsi.
"Lo facciamo per te" disse, cercando poi un contatto fisico nel prendere una mia mano fra le sue. Ma prontamente la ritirai, inserendola su un fianco.
"Smettila, mamma. Non hai un cazzo di diritto di scegliere per me" dissi, sollevando una mano nell'aere.
"Lasciami in pace". Le mie grida, purtroppo senza efficacia trattenute, vennero udite da mio padre che, in un attimo, ci raggiunse in camera.

"Che cosa sta succedendo?" domandò, osservando mia madre sul punto di piangere e me, trattenermi dall'imprecare ancora.
"Gli ho dato la notizia" parlò mia madre, volgendo i suoi occhi a quelli di mio padre.
"Bene. Era ora. Che si abitui".
"Ma abituarmi a cosa, cazzo? Non voglio stare con quella lì" sentenziai, indicando con una mano verso l'uscio della porta, appena varcata dal soggetto del nostro vociare.
"Te ne farai una ragione" parlò lui. Pareva non essere minimamente interessato a darmi spiegazioni. Almeno mia madre, per quanto patetica, ci aveva provato.

"Spiegatemi perché devo. Perché mi state obbligando?" domandai, cercando di ottenere risposta anche solo a quella domanda.
"Se è per il motorino, allora posso rinunciare. Non lo voglio più" dissi, guardando negli occhi mio padre che, labbro sollevato, pareva schifato dalle mie cantilene.
Sapevamo entrambi quanto valesse Daniel per me e il fatto che fossi pronto a rinunciare alla loro offerta non faceva comodo a nessuno dei due.

So che non sei tu e ti aspettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora