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A thousand years,
Christina Perri

Melissa

Aprile. Uno dei mesi che più adoravo. Era il mese del mio compleanno e di quello di mia zia. Avevo un rapporto speciale con lei. O meglio, lo avevo avuto. Mancata alla mia prima comunione, ogni volta che qualcosa mi faceva sovvenire di lei mi permetteva di riflettere a quanto noi due fossimo legate. Io e lei, fino a quando la leucemia non l'aveva portata lontano da me, avevamo una splendida amicizia. Ed era stato proprio questo a far ingelosire mia madre, nonchè sua sorella. Il rapporto che legava noi due non sarebbe mai potuto essere il medesimo che avevo con lei. Ma purtroppo, con l'avviarsi di un nuovo anno scolastico, alla fine di un'estate trascorsa in ospedale, il rapporto fra mia zia e me non fu mai più lo stesso nonostante entrambe ci fossimo più volte giurato il contrario fra strette di mignolo e sguardi d'intesa.
Era chiaro, non sarebbe mai cambiato fino a quando entrambe fossimo state in vita. Ma fu sufficiente che per una delle due non fosse più così per rendere irrealizzabile ciò che avevamo sinceramente promesso.

Nata due giorni dopo di me, mia zia avrebbe compiuto, quel giorno, cinquant'anni. Un momento della vita importante, che sarebbe dobuto essere festeggiato nel migliore dei modi. Ma purtroppo ciò non sarebbe accaduto.
Era ormai il settimo compleanno che festeggiavamo senza di lei per cui da un lato, nonostante fossi abbattuta, sapevo cos'avrei dovuto fare: cessare di pensare a quel giorno di sette anni fa.

"Che bella, quella foto che tieni sul ripiano della tua libreria". Agata, con il suo accento siciliano, diede voce alle sue parole. Voltandomi verso di lei, accennai un sorriso incontrando il suo sguardo.
"Dovevate essere una cosa sola" parlò poi, sapendo perfettamente chi fosse il soggetto della foto che aveva osservato con attenzione sporgendosi dalla sedia girevole sulla quale era seduta mentre io, davanti a lei, passavo un panno in lino per eliminare la polvere che si era adagiata sulla cornice in legno chiaro.

Nella foto, mia zia e io eravamo abbracciate. Lei, con una camicetta fucsia, mi cingeva con le sue braccia robuste, ma non troppo. Almeno fino alla comparsa dei primi segni della malattia. Io, fra le dita, tenevo una rosa da lei regalatami per la festa delle bambine, cercando di camuffare il suo colore giallo paglierino con la maglietta a maniche corte che portavo al di sotto della mia salopette, della stessa tonalità.

"Era una persona splendida" mi soffermai a dire, nonostante avessi giá avuto modo di ribadirlo almeno una mezza dozzina di volte alla mia amica, che di me sapeva ogni cosa. In quasi quattro anni di conoscenza potevamo dire di sapere quasi tutto l'una dell'altra. E questo valeva anche per Lucrezia.

"Cosa fai, dormi?" le domandai a proposito, vedendola sdraiata spudoratamente sul mio letto. Supina, si sosteneva il viso con le mani, impedendomi di vederlo per la posizione in cui si era messa.
Girandosi verso di me, sbattè un paio di volte le ciglia.

"No, sto solamente verificando che lui non lo stia facendo davvero" parlò sussurrando, tornando ad analizzare il volto della persona che, sdraiata accanto a lui, forse aveva davvero conciliato il sonno.

"Lascialo, poverino" sentenziai, osservando Lucrezia stuzzicare il malcapitato.
Lei, appoggiata una mano sopra al suo viso, all'altezza del naso, stava forse controllando che respirasse.
"Lucrezia, è di sicuro vivo. Sta solo... dormendo" dissi, abbassando il tono di voce sull'ultima parola, come se nel pronunziare quest'ultima si sarebbe potuto presentare il rischio di svegliarlo.

"Sì, sta dormendo" constatò Lucrezia, sentendo il respiro di Daniel sulla pelle della sua mano. Sollevando le braccia, fece per alzarsi e scendere dal letto, ma una voce la bloccó.

"Non sto dormendo" puntualizzò quella immediatamente.
"Sono sveglio" aggiunse poi, sorprendendoci. Tutte e tre avremmo messo la mano sul fuoco sul fatto che avesse ormai conciliato il sonno.

So che non sei tu e ti aspettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora