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Andrea

Le sue braccia incrociate gli davano un non so che di sicurezza. Non superiorità, ma senso di consapevolezza, di autoconvincimento. Le labbra, poggiate l'una sull'altra, erano messe in evidenza da un raggio di sole che gli colpiva, per metá, il volto, dalla pelle chiara. Non erano schiuse, segno che non si sarebbero mosse per prendere parola. Il suo sguardo, invece, faceva percepire il desiderio di sentire parlare me.
Daniel, di fronte a me, mi osservava intentensamente. Le sue iridi chiare erano sfiorate dalla luce del sole, che le faceva sembrare gialle. Le sue pupille scrutavano il mio volto straziato dalle lacrime per la notizia che avevo appena ricevuto.
'Non può essere la veritá' continuavo a ripetermi. In ogni caso non avrei più potuto pensarci. Avevo qualcuno di fronte a me che, appena postami una domanda, si sarebbe aspettato a breve una mia risposta.

'Tutto bene?" mi aveva chiesto senza mostrare sentimenti che sarebbero potuti essere di parte.

"Sì" dissi, banalmente. Ma era chiaro non fosse così. In realtà non ero stato io a errare. Già di per sè la domanda non aveva avuto senso. Vedendo qualcuno piangere, nessuno avrebbe domandato se fosse tutto a posto.

"Non mi sembra" rispose lui. Perspicace. Gettando a terra il suo zaino, accanto al suo banco, mosse un passo verso di me.

"Se tu vedessi una persona piangere a questo modo..." parló a bassa voce, facendomi voltare in sua direzione. Avevo gli occhi che bruciavano, le labbra che sapevano di amaro. La pelle, umida per via delle lacrime, tirava in ogni suo centimetro che rivestiva il mio volto.

"Penseresti che stia veramente bene?" mi chiese, esplicitamente. Poi si poggiò al banco dietro al mio, i palmi delle mani sulla sua superficie. Senza rispondergli, sperai che scostasse il suo sguardo dalla mia figura. I suoi occhi mi stavano lacerando, al di lá delle lacrime che avevano giá fatto buona parte. Non volevo mi vedesse in quelle condizioni: fragile, indifeso, distrutto.  Ormai sconfitto da me stesso che mi ero procurato tutto quel dolore indomabile, incontrallabile, incontenibile.

"Non penseresti che quella persona stia soffrendo e non poco?" tornò a domandare. Era davvero desideroso di una risposta. Ma che io non avrei mai dato. Per lo meno non a parole.
Scuotendo il capo, mi trattenni dal tirare su col naso e mi appagai ingerendo un fiotto di saliva.

"No? Io sono convinto di sì" parlò lui.
"Soltanto un insensibile non lo penserebbe" disse, accennando un sorriso.

"E tu non sei insensibile" disse.
"Cosa te lo fa pensare?" domandai, occhi arrosati e sguardo sollevato in sua direzione. Il mio capo, tenuto basso, si era leggermente alzato per rivolgergli le mie sclere, chissà di quale tonalità ormai rubra.
"Stai piangendo. Se fossi davvero insensibile non avresti versato tutte queste lacrime" disse.
"E non continueresti a versarne" aggiunse poi, allungando un dito verso la mia palpebra, che strofinò delicatamente per asciugare una lacrima che sarebbe presto precipitata. Ritirandomi al suo tocco, l'osservai nelle pupille. Non seppi come ebbi fatto a reggere il suo sguardo più di lui che, dopo un paio di secondi, decise di spostarlo altrove. Intanto, i miei occhi avevano cessato di lacrimare, dopo l'ultima goccia asciugata da Daniel.

"Comunque, visto che è tutto okay, io e te dobbiamo parlare" dichiarò, scendendo dal banco sul quale si era appoggiato e allontanando un passo da me per meglio osservarmi. A braccia conserte, attendeva una mia risposta.

"C... cosa devi dirmi?" domandai, osservandolo e cercando di smettere di piangere. Ma il dolore che mi aveva provocato quella telefonata era troppo per essere soppresso dopo pochi minuti.

So che non sei tu e ti aspettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora