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Andrea

Ande, oggi è il grande giorno.
:)

La notifica dell'arrivo di un nuovo messaggio mi fece sobbalzare. Il silenzio che fino a poco prima aveva regnato incontrastato nella mia stanza venne rapidamente interrotto da un suono acuto e altrettando breve, sostenuto dal vibrare del metallo di cui era fatto il telefono, a contatto con il legno di ciliegio del comodino sul quale era stato appoggiato la sera prima. Poi mio mugugnare, chiaro segno di sconforto, si affiancó al ritorno della quiete che, se non fosse stata per il brusio proveniente alla mia sinistra avrebbe regnato incontrastata ancora per un paio d'ore almeno.

"Chi cavolo ha da rompermi le scatole alle sette meno venti di mattina?" mi lamentai, tirandomi malamente su dal mio letto, levandomi grossolanamente il lenzuolo sovrastato da una coperta di pile dal corpo. Non avvertendo alcun brivido lungo il mio busto, mi domandai se fossi ancora vivo. Passandomi una mano sul petto, sentii il calore della notte svanire lentamente e il freddo della stanza avvolgermi in men che non si dicesse. La pelle d'oca mi fece contrarre, le spalle strinsero le braccia, le gambe cercarono conforto accavallandosi le une sulle altre, le labbra si stesero in un sorriso teso. L'inverno esplodeva al di là della finestra, socchiusa, che lasciava intravedere l'ondulare dei rami, neri come la pece, in una danza ripetitiva. Il buio della notte non era stato ancora sostituito dalla luce che, nel mese di dicembre, iniziava a illuminare la giornata soltanto fra le sette e mezza e le otto.

Accorgendomi che quello sul comodino non fosse il mio telefono, bensì quello che usavo per ascoltare la musica, mi domandai dove l'avessi lasciato la sera antecedente. Con lo sguardo, scrutai nella penombra lo spazio nel quale ero immerso.
"Eccolo lí" sussurrai, sollevando il mio corpo a fatica.
Sporgendomi verso la libreria per afferrare il mio cellulare, riposto sul terzo scomparto a partire dal basso, rischiai di cadere su un fianco. Ma alla fine raggiunsi il mio obiettivo.
"Perché diamine si trovava cosí in alto?" mi domandai, rammenandomi che il giorno prima Daniel fosse venuto a casa mia, costringendomi a giocare a nascondino. Ogni pretesto per scherzare con lui non passava inosservato alla mia mente, che prendeva in considerazione ogni sua proposta.

Tornando a sedere sul letto e appoggiando un piede sul ginocchio della gamba opposta osservai dapprima l'ora, sei e quarantadue, poi il messaggio comparso in anteprima sulla schermata.
Era Daniel.
Sorridendo, mi pentii di aver pronunciato quella frase nei suoi riguardi, poco prima.
Poi, il testo del suo messaggio, mi ricordó che giorno fosse. Lunedí.
La cosa sorprendente era che non si trattasse di un lunedì come gli altri, ma il lunedí, quello del mio ritorno a scuola dopo piú di tre mesi trascorsi fra la sala dell'ospedale e casa.
Al pensarci mi faceva uno strano effetto. Erano davvero trascorsi tre mesi in un lasso temporale che pareva essere passato come un fulmine?

"Cosa ci fa lui sveglio a quest'ora?" mi domandai, sapendo che avrebbe potuto dormire per ancora quasi mezz'ora in piú, abitando a non eccessiva distanza dal liceo.

Appena puoi rispondimi, che altrimenti
mi preoccupo di non essere
riuscito a svegliarti per tempo!

Un altro messaggio da parte sua mi obbligó a fare ció che mi aveva chiesto nel testo inviatomi poco prima.

Sì, mi sto alzando. Grazie per il risveglio.

Alzando gli occhi al cielo, mi coprii il viso con il palmo della mano. A gambe incrociate, mi lasciai cadere sulla federa del cuscino, poco più indietro di me, lagnandomi senza pudore.
"Perché? Perché devo tornare a scuola?" mi domandai, soffocando le parole fra le mie mani, che camuffavano interamente il mio volto.
"Cazz... arola".
Mentre trattenni a stento l'imprecazione, la porta di camera mia si aprì improvvisamente. Mia madre, in vestaglia, comparve sull'uscio, facendomi sussultare. Io, in boxer, mi feci trovare malamente sdraiato sulle coperte disfatte e stropicciate. Imbarazzato a tal punto dal voler scomparire, mi tirai su di scatto, fingendo di starmi preparando per andare a fare colazione.

So che non sei tu e ti aspettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora