3 - Capitolo 2.2

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«Mi dispiace averti fatto aspettare.» Sancha si sedette accanto ad Aziz. Il tavolo era troppo grande per sole due persone, ma era pieno di ciotole e taglieri. A giudicare dai resti della cena, sembrava ci avessero mangiato almeno il doppio delle persone che, lei sapeva, avrebbero dovuto esserci. «Sorella Aniene mi ha trattenuta più del necessario, ma aveva bisogno del mio aiuto per redigere l'inventario. E oggi hanno tutti fretta di concludere i propri incarichi.»

Aziz, a braccia conserte, osservava un gruppo di avventori che stava andando via. «È comprensibile, non credi?»

Sancha si massaggiò le braccia, lo sguardo perso tra i resti sparsi sul tavolo. «Ma non dovrebbe essere uno spettacolo» sussurrò.

«Ancora uno, padre?» chiese la cameriera avvicinando la caraffa al boccale quasi vuoto.

Aziz scosse la testa. «No, grazie.»

«Fratello, sorella, posso fare una domanda?» chiese ancora, indugiando vicino al tavolo e spostando lo sguardo tra loro due.

Sancha annuì.

«Ma quindi è vero? Dicono che sarà il primo, dopo quanti anni?»

Aziz scosse la testa riccia e nera. «No, ragazza, non sarà il primo.» Bevve un lungo sorso svuotando il boccale e lo posò con forza sul tavolo. «E neanche l'ultimo, credimi. Il Gran Maestro è inflessibile con gli eretici e non può mostrare il minimo segno di debolezza. Anche se sarà il primo a Città del Guado.»

Sancha osservò l'amico e confratello asciugarsi le labbra carnose con la manica e posare due pezzi da tre sul tavolo. La cameriera era rimase lì, a fissare le monete. Anche uno sparuto gruppo di uomini, seduto al tavolo in fondo alla sala, stava guardando verso di loro.

Aziz si alzò e le fece cenno di seguirlo.

«Sono andati via da molto?» gli chiese.

Lui scosse la testa. Non aggiunse altro e si limitò a percorrere la strada che li avrebbe condotti al Tempio Bianco.

«Ascolta, Aziz. Se c'è qualcosa che posso fare, non hai che da dirmelo.»

«Sei una brava osservatrice.» Calciò via un piccolo sasso che rotolò poco più avanti. «Avrai di certo capito che i due uomini con cui ho parlato ieri, e cenato stasera, provengono dal mio paese.»

Sancha sentì le guance avvampare, ma non distolse lo sguardo dalla strada. Non aveva soltanto indovinato da dove provenissero quelle due persone, aveva anche saputo con certezza la provenienza di entrambi gli eretici. Era quello il motivo per cui avrebbe voluto non lasciare solo Aziz. Se solo sorella Aniene non fosse stata così inesperta sarebbe arrivata in tempo.

I loro passi echeggiavano sul selciato, insieme a quelli dei pochi ritardatari che si affrettavano a rientrare prima del coprifuoco.

«L'ho capito, sai? Che sei venuta di proposito. Dovresti smetterla di preoccuparti per me.»

«Nessun disturbo» si affrettò Sancha. «Solo credevo volessi rientrare per i vespri, ma non importa. Recupererò. La Dea è indulgente con noi. Forse troppo.» Svoltarono nella strada che li avrebbe condotti verso un ingresso secondario e ne approfittò per scrutare il volto dell'amico, ma era troppo in ombra per decifrarne lo stato d'animo.

Gli si parò davanti quando ormai erano giunti nel cerchio luminoso delle fiaccole poste ai lati della porta. Non poteva più rimandare. «Aziz, in nome della Dea, guardami e rispondi. Sono tuoi amici?»

Gli occhi neri erano rivolti verso di lei, ma guardavano più lontano, nel tempo oltre che nello spazio.

Annuì. «Però non ha importanza. La giustizia amministrata dal nostro sacro ordine non guarda se a macchiarsi di eresia sia un amico. Nel momento in cui si voltano le spalle alla Luce, si diventa un nemico. Nemico della Dea. Nemico dell'umanità. Nemico di tutti.» Si portò la mano destra al tatuaggio di forma triangolare sulla fronte e poi sul cuore, dove ne era tatuato un altro. «Lo sai, Sancha, perché portiamo questi due segni?» La voce diventata ormai un sussurro.

Rosso Sangue [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora