Capitolo Tre

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Quella sera a cena ci furono due ragazzi in più.
I Gemelli Medusa sedevano ad un tavolo a parte, aspettando in silenzio che qualcuno portasse da mangiare.
Ogni singolo soldato della sala, invece, pregava qualunque dio in cui lui credesse di non far arrivare il cibo. I due avrebbero per forza dovuto togliere la maschera per mangiare e tutti tremavano anche solo al pensiero dei loro volti scoperti.
-È pronto!- tuonò sbrigativo il cuoco in russo, portando su un carrello cibo dall'aria poco invitante. I militari rimasero immobili per qualche istante.
-Allora? Volete un invito scritto? Alzate il culo!- tuonò di nuovo il cuoco, brandendo un mestolo di legno verso l'intera stanza esagonale.
Il generale Kuznetsov si alzò per primo.
-Il linguaggio, Fernando! Ci sono dei ragazzi!- disse l'uomo, tentando di sembrare sicuro e autorevole, ma fallendo miseramente. La consapevolezza della presenza dei due Gemelli rendeva tutti spaventati e in costante allerta.
-Ragazzi un paio di palle! Chi è il prossimo?!-
I soldati iniziarono a mettersi in fila per il pessimo cibo che passava al convento lì dentro. Lentamente le voci si accesero, i discorsi ripresero come ogni sera e i soldati ripresero un po' del loro solito vigore.
Tutto questo finché i Gemelli non si alzarono.
I due ragazzi si unirono alla fila di soldati che attendeva la propria cena, facendo paralizzare tutti coloro che avevano davanti. Alcuni uomini uscirono dalla fila, attraversando il più in fretta possibile la stanza e cercando un angolo lontano dai due ragazzi. Kuznetsov si alzò allarmato.
-Oh no, emh, per voi c'è una cena più...adatta.- disse, mentre la fila continuava a rimpicciolire.
I Gemelli, ormai arrivati davanti al cuoco, scossero vigorosamente la testa e restando voltati verso l'ufficiale porsero contemporaneamente i piatti all'uomo che stava dietro il carrello del cibo.

Quello non se lo fece ripetere due volte e gli riempì i piatti di cibo rivoltante, uguale a quello di tutti i soldati.
-Mi piacciono questi ragazzi. La guerra è uguale per tutti!- esclamò il cuoco, guardando con soddisfazione i due Gemelli.
I ragazzi si portarono le mani al capo, in un perfetto saluto militare, per poi voltarsi e tornare al proprio tavolo, in un angolo della stanza. Questa volta il silenzio regnò incontrastato.
I Gemelli non toccarono i piatti finché anche l'ultimo soldato non finì la propria cena. Attesero poi che Kuznetsov congedasse tutti e si alzarono, portando con loro i piatti.
Quando i due Gemelli sparirono nel corridoio che portava alla loro stanza, l'intero salone sembrò trarre un respiro di sollievo.
Nel frattempo i due erano arrivati alla loro stanza e, dopo aver bloccato la porta dall'interno, avevano finalmente cominciato la loro cena.
Le due maschere bianche giacevano sopra le lenzuola candide ai loro fianchi, mentre i due ragazzi mangiavano in silenzio, uno di fronte all'altro.
-Odio i pranzi speciali.- dichiarò il ragazzo, quando ebbe finito il suo piatto. La sorella annuì, senza dire una parola. Si rimise la maschera e si alzò, porgendo poi la mano verso il fratello.
-No, faccio io.- il ragazzi imitò la sorella, prendendo poi il piatto di lei ed uscendo dalla camera per portarli nella cucina. I Gemelli odiavano essere trattati come principi, lo odiavano da sempre.
Rimasta da sola, la ragazza guardò lo specchio appeso alla parete.
-Per favore...-
Il vetro esplose, i detriti e le schegge caddero al suolo con una sorta di tintinnio ormai troppo familiare alla ragazza, che sospirò affranta. Erano anni che non poteva parlare senza che ogni oggetto fragile, prevalentemente di vetro, andasse in frantumi. Sapeva di poter comandare quel potere, era sicura che, se l'avesse voluto, avrebbe potuto impedire alla propria voce di creare tutta quella distruzione intorno a sé.

La porta si aprì e il Gemello entrò, rimanendo a guardare i frammenti dello specchio a terra dopo aver bloccato la porta.
-Non ci sei riuscita?-
Lei scosse la testa debolmente, addolorata da quell'ennesima sconfitta. Dopo tutti quegli anni era ancora schiava del proprio potete.
-Non importa.- il fratello la riscosse dai suoi pensieri. Lei guardò i frammenti di vetro che tornavano al loro posto, sotto lo sguardo del ragazzo. -Sarà per un'altra volta, vedrai.- cercò di rassicurarla.
Lei annuì di nuovo, anche se dubitava altamente di riuscire a evitare quella conseguenza.
-Ora dormi.- le disse in tono dolce lui, dandole un bacio sulla testa prima di dirigersi al proprio letto.
-Non sappiamo quando sarà la prossima volta che dormiremo in un letto.- disse lui amaramente, togliendosi la camicia bianca e rivelando il suo fisico da supereroe perfetto, ma così pallido per essere un semplice essere umano. -Non lo sappiamo mai...-

Lei avrebbe voluto dirgli di non dire così, ma non avrebbe potuto mentirgli nemmeno se avesse potuto parlare. Si limitò a togliere anche la sua camicia, gettandola sopra il proprio mantello.
Lei non aveva il fisico perfetto, quello che voleva loro padre.
Lei era quella venuta male.
Era il Gemello imperfetto.
La sua voce non incantava, rompeva i vetri.
I suoi occhi non riuscivano a mandare indietro nel tempo, anche se di poco, un oggetto.
Lei non era suo fratello.
-Tutto bene sorellina?-
La ragazza annuì, infilandosi la larga maglia che si era portata per dormire, coprendo così il suo corpo pieno di profonde cicatrici.
Si infilò sotto le lenzuola e fissò il soffitto, mentre suo fratello spegneva la luce. Non che attraverso la maschera cambiasse molto, i loro occhi percepivano a malapena la differenza tra notte e giorno.
Rimase a fissare il soffitto pensando alla sua infanzia.
Ricordava le parole di loro madre, le risate di suo fratello, ciò che erano stati prima di diventare i Gemelli Medusa.
E ora, lei cos'era?
Lei era la guerriera del duo, la spietata della coppia.
L'errore di molti soldati era sottovalutare una ragazza e lei era stata plasmata proprio su questo difetto fatale dell'uomo.
Loro due erano armi per uccidere.
Eppure non avevano mai opposto resistenza, non si erano mai ribellati.
Sapevano cosa stavano facendo e lo facevano ugualmente.

-Percepisco i tuoi pensieri.- sussurrò nel silenzio suo fratello. Quella voce che sussurrava era stata la rovina di innumerevoli ragazze. A quel pensiero, la ragazza rabbrividì.
-Sei turbata. Molto.-
-Stanca.-
Si sentì l'inconfondibile suono del vetro che va in pezzi.
Il ragazzo puntò lo sguardo sui frammenti, che tornarono indietro.
-Dormi. Non pensarci.-
Lei chiuse gli occhi. La connessione che c'era tra lei e suo fratello in questi casi la aiutava a tranquillizzarsi, a svuotare la mente.
Suo fratello era molto più calmo, molto più controllato.
Era un peccato che la connessione non le dicesse tutto ciò che c'era nella mente di lui.
Lei non seppe mai che solo metà specchio si era rotto.

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