Capitolo Ventotto

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"Evie".

La Gemella non era sveglia, eppure quella voce le sembrava così reale.
Doveva essere solo un sogno, la voce di suo fratello che le parlava in una dimensione onirica.
"Mi dispiace di non essere rimasto con te."
La Gemella abbassò lo sguardo, studiando il nulla che la circondava in quel particolare sogno. Intorno a sé vedeva solo bianco sfocato, come piccole macchie di luce chiara sovrapposte l'una all'altra.
"Dannazione, riesco solo a causarti dolore."
-Elijah...- cerco di chiamarlo la ragazza, muovendo una mano verso la direzione dalla quale proveniva la voce incorporea.
Il ragazzo trasalì appena, come se non si aspettasse una reazione da lei nonostante le stesse parlando lui stesso.
"È solo che..."
La voce vaga e ovattata sospirò stanca e Evie si immaginò il fratello passarsi una mano tra i ciuffi neri e perfetti.
"Tu sei la mia Liz, Evie."
La ragazza spalancò gli occhi, cadendo poi in un sonno più profondo.

Si alzò di scatto, mettendosi seduta sul letto e respirando affannosamente, reduce di un incubo che non ricordava.
Si guardò intorno spaurita, vedendo quello che era chiaramente un laboratorio intorno a sé.
Per un tremendo istante pensò di essere ancora in una base Hydra, credette di essersi risvegliata dopo un trattamento della Capsula che, visto che ricordava, non doveva essere andato a buon fine.
Ma quando si voltò verso sinistra sulla sedia affianco al lettino non c'era suo fratello, ma un ragazzo dai capelli castani parecchio spettinati.
Il ragazzo -che doveva avere all'incirca la sua stessa età- stava dormendo con la testa appoggiata al muro e una mano sotto la guancia, le labbra schiuse e gli occhi chiusi.
La ragazza calmò lentamente il respiro, tranquillizzata dalla presenza di Peter al suo fianco.
Quando tornò a respirare normalmente cercò subito un orologio nella stanza, mentre gli ultimi ricordi di quello che sperava essere solo il giorno precedente tornavano lentamente alla sua mente.
Wanda Maximoff, la cella che esplodeva, i vetri nelle braccia, Peter che la prendeva in braccio e le diceva che sarebbe andato tutto bene.

Appeso sopra un computer di ultima generazione la ragazza riuscì a scorgere ciò che cercava e si stupì vedendo l'ora che segnava.
Abituata ormai alla cella, a cui lei chiedeva di lasciare la luce sempre accesa vista la minima differenza che il buio faceva ai suoi occhi, quasi si meravigliò di trovarsi in piena notte.
Lo sguardo potente le dava una luminosa visuale ventiquattr'ore su ventiquattro, rendendo quasi impossibile distinguere il giorno dalla notte.
La Gemella si voltò di nuovo verso il ragazzo al suo fianco e un vago ricordo del sonno appena terminato si affacciò al suo subconscio.
"Tu sei la mia Liz, Evie".
Aveva creduto che la voce del suo sogno fosse quella di Elijah, finché essa non aveva pronunciato quella frase che ora le girava in testa senza sosta. Aveva abbastanza esperienza con la propria mente per sapere che quello non poteva essere un semplice sogno, un prodotto del suo cervello.
E il fatto che il ragazzo avesse un collegamento empatico con lei accresceva l'impossibile ipotesi che Evie stava formulando: e se quelle parole le avesse sentiti e non solo sognate?
Non capiva fino in fondo il significato di quell'ultima frase pronunciata da Parker, ma ogni volta che ci pensava sentiva una strana sensazione, qualcosa che ricordava di aver già provato tempo prima.

-Mhh.-
Peter si mosse sulla sedia, che non doveva essere il massimo della comodità per lui. La Gemella avrebbe voluto cedergli il proprio letto, lei sarebbe stata capace di dormire anche sul pavimento, se solo avesse avuto lo spazio per incrociare le gambe.
La comodità di un letto era un privilegio per lei, non un'abitudine.
Guardò il ragazzo di fianco a lei e ripensò alla prima volta che l'aveva visto, a come si sentisse distrutta e fragile dopo la morte del fratello e di come quel ragazzo dai simpatici poteri "di ragno" l'avesse trattata con i guanti, rivelandosi dolce e premuroso fin dall'inizio, senza nemmeno sapere che lei era la stessa persona che meno di un'ora prima aveva provato a uccidere tutti quelli che trovava sul suo cammino, compreso lui e i suoi amici.
Da quanto ne sapeva, Peter era stato l'unico ad opporsi fermamente all'idea di chiuderla in cella e aveva fatto un'apparente sciopero della fame e della parola per quasi una settimana, almeno agli occhi degli Avengers.
Ovviamente Evie sapeva che non poteva smettere di mangiare per così tanto, così ogni giorno in cui lo vedeva cedeva uno dei suoi pasti al ragazzo, dicendogli che era in più.
Aveva digiunato volentieri, per cedere il suo cibo a qualcuno che stava lottando per lei.
Erano sensazioni nuove, cose che aveva imparato a sviluppare solo grazie al ragazzo aracnide, che non si era arreso con la Gemella, neanche i primi giorni della sua permanenza lì, quando ancora Evie rifiutava chiunque, impedendo qualunque tipo di approccio.
Erano stati giorni duri, da entrambi i lati del vetro.

Guardando intensamente il volto addormentato del ragazzo, Evie allungò una mano completamente fasciata, spostando un ciuffo castano dal viso di Peter per poter vedere meglio la sua espressione quasi angelica.
Aveva sempre pensato agli Avengers come ad una squadra di supereroi che non si faceva problemi ad uccidere chi tentava di ucciderli, ma vedendo Peter aveva cambiato radicalmente idea.
Quel ragazzo sembrava troppo buono per poter anche solo pensare di togliere la vita a qualcuno, per quanto malvagio esso potesse essere.
-Ev...ve...- mormorò il ragazzo nel sonno, spostando la testa sempre appoggiata al muro dietro di loro.
-Peter...- sussurrò lei, così piano da sembrare uno spiffero di vento che entrava dalla finestra.
Il ragazzo aprì gli occhi di scatto, trovandosi davanti quelli verde smeraldo della ragazza, che teneva ancora una delle mani accostata al volto di Spider-Man.
-Evie? Cosa ci fai sveglia?- chiese il ragazzo con uno sbadiglio, stropicciandosi un occhio mentre la Gemella ritraeva il braccio, abbandonandolo tra le gambe incrociate.
-Un incubo.- sussurrò lei, provocando un brivido alla schiena del ragazzo.
-Torna a dormire, hai bisogno di riposo.- le disse lui, il tono ancora assonnato.
Lei guardò la mano destra di Peter, abbandonata sul suo ginocchio, e senza sapere il perché fece scivolare le sue dita tra quelle di Parker.
Lo sguardo formidabile della ragazza le permise di vedere le guance dell'amico tingersi di rosso, nonostante il buio che li circondava.

Esattamente come faceva con Elijah ogni volta che aveva un incubo, Evie posò la testa sulla spalla del ragazzo in una posizione non esattamente comoda ma molto più familiare dell'insolita morbidezza di un cuscino al quale appoggiarsi.
Nel più totale silenzio, la ragazza chiuse gli occhi e si abbandonò di nuovo ai sogni, mentre Peter guardava le sagome scure delle loro mani unite.



Wakanda
Scusatemi infinitamente se ieri non ho postato, come sempre rimedierò oggi con due aggiornamenti.
Ultimamente non riesco più a finire una dannata fan fiction e questa cosa mi fa incazzare un botto DOVE È FINITA LA MIA ISPIRAZIONE DOVE?
Ma non preoccupatevi, questa storia l'ho finita di scrivere più di un mese fa, quindi non ci saranno vuoti o altro.

Cosa ne pensate?

E, solita domanda, quanto sono belli Evie e Peter?

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