Capitolo Trentatré

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Quando arrivò davanti alla tanto ambita porta, Peter si fermò.
La soglia era socchiusa e uno spiraglio di tenue luce era proiettato sul pavimento. Peter pensò che fosse la luce della lampada che tutte le camere presentavano sul mobiletto, ma la cosa non lo rassicurò ugualmente. Dubitava che Evie, dopo l'enorme sforzo subito, si fosse alzata nel cuore della notte e fosse andata a farsi una passeggiata, dimenticando poi la porta socchiusa al suo ritorno.
Con massima discrezione, Peter spinse lentamente la porta, riuscendo ad avere accesso ad un maggiore campo visivo sulla stanza al di là della soglia. La scrivania vuota, gli armadi in ordine, un pezzo del letto le cui coperte erano ancora perfettamente fatte e sulle quali poggiava un secondo lenzuolo grigio che Peter aveva visto in precedenza nel laboratorio di Banner, una di quelle che usavano solitamente per i feriti.
Con un moto di coraggio e ancora maggiore circospezione, il ragazzo spinse ulteriormente la porta, riuscendo così a vedere la ragazza addormentata sul letto e l'ombra di qualcuno proiettata sulle lenzuola che la coprivano.
Peter si concentrò su quell'ombra, unica cosa visibile della presenza, constatando che si trattava senza dubbio di un uomo. Erano tanti gli Avengers con un valido motivo per preoccuparsi della salute di Evie, ma nessuno si sarebbe mai alzato a quell'ora della notte per vegliare sulla ragazza mentre questa dormiva.
Peter decise, non volendo fare movimenti affrettati, di concentrarsi sul viso della ragazza.

Da quella posizione non si vedeva il cerotto che il dottor Banner aveva applicato sulla ferita ricucita provocata dallo sforzo troppo grande e l'espressione indecifrabile della ragazza che dormiva scaldava il petto al giovane Spider-Man.
Sembrava così tranquilla e in pace con tutto da fargli quasi dubitare della veridicità dei suoi ricordi riguardo all'esperimento.
Ma l'ombra che la luce della lampada gettava sulle lenzuola chiare confermava ovviamente quello che Peter sapeva essere vero: Evie aveva subito un grave danno ed era crollata sotto un'immane stanchezza.
Facendosi ancora coraggio, il giovane Parker spinse ancora un po' l'uscio, potendo così vedere finalmente la figura che stava vegliando sul sonno di Evie.
Inizialmente, potendo vedere solo la sua schiena e in controluce, Peter non riuscì a riconoscere l'uomo, associando la figura ad uno degli Avengers.
Ma guardando meglio si rese conto di sapere perfettamente a chi apparteneva quella capigliatura e quelle spalle incurvate, come se fossero rassegnate.

Un po' titubante, Peter spinse con più decisione la porta ed entrò nella stanza, senza produrre alcun suono.
Si avvicinò lentamente al letto, cambiando però idea all'ultimo e sedendosi sulla poltrona posizionata accanto alla porta del bagno privato dell'appartamento.
Solo quando si fu accomodato per bene, l'uomo sembrò accorgersi della presenza del ragazzo.
Si voltò verso Peter e la luce tenue dell'abajour illuminò il suo volto stravolto, facendolo sembrare molto più vecchio.
-Peter...- bisbigliò guardando il ragazzo con un'espressione che trasmetteva così tante emozioni insieme da renderla quasi incomprensibile.
-Sta bene?- tagliò corto il ragazzo, senza staccare lo sguardo ancora preoccupato dal viso addormentato della ragazza.
La luce della lampada illuminava una delle lacrime che era riuscita a sopravivere sul volto del ragazzino, facendo stringere ulteriormente il cuore all'uomo.
-Sì. Bruce ha detto che il suo fisico è...abituato ad essere lacerato.-

Quella frase creò un senso di rabbia, odio e disgusto tra i due, lasciando aleggiare quella matassa indistinta di emozione tra loro, in un silenzio opprimente.
-Mi dispiace...- mormorò dopo diversi minuto l'uomo, abbassando lo sguardo sulla ragazza stesa vicino a lui.
Peter non aprì bocca, passando lo sguardo sul volto stanco di Tony Stark.
-Avevi ragione, le stavo facendo del male e avrei dovuto fermarmi prima.- proseguì lui, senza riuscire a guardare in volto il ragazzo al quale stava bisbigliando quelle parole piene di sensi di colpa.
Tony si ripromise di non aspettare mai più di doversi trovare al capezzale di qualcuno a cui teneva per ammettere i suoi errori, o la prossima volta quel qualcuno avrebbe potuto non sopravivere.
-Mi sono fatto prendere la mano, non so nemmeno io cosa mi sia successo...- ammise in un sussurro Stark, con sempre crescente rammarico.

-L'importante è che Evie stia bene.- parlò finalmente il giovane Spider-Man, la voce leggermente più roca del solito. Tony si voltò finalmente verso di lui, studiando attentamente il ragazzo.
Peter indossava un pigiama troppo grande per lui e un'espressione seria e pensierosa, di quelle che Tony riteneva non dovessero mai appartenere ad un ragazzino così giovane.
Ma quello non era il mondo comune, la realtà di Parker non era la stessa di tutti i sedicenni newyorkesi come lui. Lui era stato tirato dentro a qualcosa di molto più grande di lui ad un'età quasi vergognosa, venendo privato di un'adolescenza come le altre.
E ora si trovava ad avere a che fare con una ragazza che era stata strappata alla sua stessa vita in età ancora più tenera, quando ancora era una bambina, e cresciuta come un'arma da guerra.
Tony si era sempre lamentato della sua vita, del suo rapporto con suo padre in particolare, ma in quel momento si sentì fortunato in confronto a quei due ragazzini e avrebbe solo voluto poter dar loro la vita che meritavano.

-Meritereste di meglio...- mormorò l'uomo, la voce leggermente incrinata, tornando a guardare la ragazza addormentata.
-Tengo molto agli altri Avengers ovviamente, ma voi...- le parole si persero nel vuoto, mentre Tony passava con delicatezza una mano tra i capelli di Evie, spostando le ciocche scure dal suo viso sfregiato.
-Voi due siete una mia responsabilità. Se vi dovesse mai succedere qualcosa, io...- la voce di Tony si spezzò.
Nello stesso istante, le braccia di Peter si strinsero intorno alle spalle dell'uomo, mentre il suo viso veniva premuto contro il collo del miliardario.
-Mi dispiace...- bisbigliò il ragazzo, mentre due calde lacrime scendevano lungo le sue guance, finendo per bagnare la maglia scura di Tony.
E lui, il grande Iron Man, venne colto di sorpresa dall'abbraccio di un ragazzino sconvolto e distrutto da troppa preoccupazione.
Con una lentezza che non avrebbe voluto avere, Tony tentò di ricambiare l'abbraccio, per quanto la scomoda posizione glielo permettesse.
-Starà bene, vedrai.- sussurrò vicino all'orecchio del ragazzo, che annuì con lo sguardo sfocato dalle lacrime, stringendo più forte la schiena dell'uomo.



Wakanda
In questa storia Peter piange troppo spesso. Va be, penso che sopravvivremo ugualmente.

Oggi mi sento più buona del solito, quindi pubblico due volte.

Vogliatemi bene.

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