Capitolo Quattro

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La base di Samara avrebbe dovuto ospitare i Gemelli per tre mesi, a meno che essa non si fosse autodistrutta prima, impazzendo a causa della presenza dei due ragazzi.
I due Gemelli erano arrivati a metà Novembre, in un periodo di relativa pace tra l'Hydra e i terreni circostanti la base.
I Gemelli si spostavano di continuo, per impedire allo S.H.I.E.L.D. di localizzare la loro posizione e mandare gli Avengers nel tentativo di prelevarli.
A metà Gennaio la situazione nella base russa era ancora relativamente sotto controllo. I soldati avevano imparato che c'erano giorni nei quali i ragazzi non uscivano neanche una volta dalla loro stanza, creando un clima di serenità e sicurezza tra gli uomini, che fossero semplici soldati o generali di grado più alto. Ma c'erano giorni in cui i Gemelli prendevano parte alla vita della base, e in quei momenti il terrore era così persistente e palpabile da poterlo tagliare con un pugnale.

Era il 18 Gennaio quando un gruppo di militari, entrando nella sala pesi della base, trovò uno dei due Gemelli allenarsi. Lo stupore fu ancora più grande quando poterono constatare che si trattava della femmina.
La ragazza, con indosso una tuta militare completamente rossa, stava prendendo a calci e pugni con mosse da arti marziali un sacco da box, i guanti senza dita d'oro che brillavano alla luce elettrica delle lampade a LED ogni volta che sferrava un pugno contro la dura pelle del sacco.
Il gruppo di soldati rimase per qualche istante pietrificato sulla soglia a guardare la ragazza che colpiva senza sosta il sacco, senza stancarsi apparentemente. I capelli neri e lucidi spuntavano dalla maschera bianca, facendola sembrare una guerriera samurai degli antichi dipinti giapponesi.
E, chi lo sapeva, magari era davvero di origini orientali. I soldati non avrebbero mai potuto saperlo.
Il più grande di tutti, uno dei soldati più esperti di tutta la Russia, si riscosse, avanzando a testa alta nella sala pesi. I suoi compagni lo seguirono con lo sguardo, ancora spaventati dalla ragazza che nel suo angolino di stanza si allenava, senza dare segno di averli anche minimamente notati. E se anche lo aveva fatto non pareva interessata alla loro presenza.  Un secondo soldato, prendendo un po' di coraggio, si spostò verso la panca, seguito poco dopo da un terzo compagno. I due, tentando di fingere che la ragazza non fosse a meno di sei metri da loro, cominciarono a fare i loro esercizi quotidiani. Incoraggiati dal fatto che, apparentemente, la ragazza continuava a ignorarli, anche i restanti militari si portarono alle loro postazioni preferite, cominciando i propri esercizi e dimenticandosi ben presto di essere chiusi nella stessa stanza con un'arma di distruzione di massa.  In tutto questo, tuttavia, il "capo" della banda non sembrava essere molto disposto a far finta che lei  non fosse lì.

-Iv, andiamo.- lo richiamò un po' titubante uno dei compagni.
A quella breve frase, la ragazza si fermò, voltando di poco la bianca maschera verso il resto della sala e scoprendo il gruppo di militari. Ora tutti gli occhi erano puntati sulla giovane in rosso, che si rimise dritta, sistemandosi i guanti dorati nel solito silenzio incomprensibile a chiunque non fosse suo fratello.  D'altronde, quando non puoi decifrare l'espressione di chi ti sta davanti diventa complicato carpirne i pensieri, leggerne le emozioni. Ma il soldato raccolse tutto il proprio coraggio e fece altri passi un po' esitanti verso la Gemella, la quale piegò quasi impercettibilmente la testa di lato, in quello che gli uomini interpretarono come una muta domanda, simile al comportamento di un cane che non capisce.
-Questo è il nostro spazio.- parlò finalmente il capo del gruppo, tentando di risultare autoritario e, per quanto gli era possibile, minaccioso.
-Iv lascia stare...- cercò di dire uno dei suoi compagni, muovendo un passo incerto verso l'amico.  Ma quello alzò una mano, fermando il compagno nella sua avanzata. Pietro Ivanov, così si chiamava il soldato, fece qualche altro coraggioso passo verso la ragazza.
-Questa è la nostra sala, la nostra base e le nostre regole.- cominciò a dire, indicandosi con il pollice, per sottolineare le proprie parole minacciose.
-Tu e tuo fratello dov...- ma venne bruscamente interrotto.
La ragazza spostò tutto il peso in avanti, saltando in una posizione di attacco. Anche se non disse una sola parola, fu come se avesse gridato. Tutti i soldati trattennero il respiro, spaventati, mentre Ivanov cadde a terra terrorizzato, nel futile tentativo di sfuggire a quella che credeva essere la sua fine.

Invece la ragazza si rimise dritta e, portandosi le mani ai fianchi e piegando leggermente la testa all'indietro, rise.
Se prima gli uomini erano stati spaventati, ora erano completamente senza parole. Quello era il primo suono che sentivano uscire dalle labbra della ragazza, o di uno dei due Gemelli in generale. La giovane smise di ridere solo quando una crepa cominciò ad aprirsi troppo profonda sul pavimento sotto il sacco da box che lei stava usando per allenarsi. Ivanov la guardava ancora con gli occhi sbarrati, seduto scompostamente a terra dopo la caduta.  La guerriera avanzò verso il soldato russo, che per istinto tentò di indietreggiare, ma lei alzò una mano, avanzando più lentamente, come si fa quando si tenta di domare un animale feroce e potenzialmente aggressivo. Ivanov la guardò con lo stomaco contorto per la paura mentre lei lentamente arrivava di fronte a lui. Quando lei alzò la mano il soldato si coprì il viso con un braccio, senza riuscire a resistere a quello che nell'esercito chiamavano "istinto di sopravvivenza".
Presto si rese conto che non stava succedendo nulla, così si costrinse a riaprire gli occhi, trovandosi davanti al volto la mano fasciata di oro della ragazza, tesa in un gesto inequivocabile. Non senza esitare, Ivanov prese la mano che lei gli porgeva, facendo entrare in contatto le loro dita molto lentamente. La mano di lei era sorprendentemente fredda, come se passasse la vita tenendo le mani in un congelatore. Quando la presa del soldato fu sufficientemente salda, la ragazza diede un forte strattone verso di sé. Gli altri uomini presenti nella stanza trattenevano il fiato, aspettando il momento in cui lei avrebbe ucciso il loro compagno.

Invece la ragazza rimise in piedi il soldato, liberando poi le loro mani e indietreggiò, tornando verso il suo sacco da box bordeaux.
-Aspetta.-
La Gemella si voltò, rivolgendo nuovamente verso Ivanov la maschera soggetto di infiniti incubi in uomini di tutto il mondo.
-Ti...ti alleneresti con me?-
Un paio di militari uscirono dalla stanza, lasciando che la porta si chiudesse automaticamente alle loro spalle. Oltre ai due soggetti della "conversazione" rimasero così più solo quattro uomini, immobili alle loro postazioni. Alcuni di loro si domandarono cosa avrebbe risposto la ragazza, se avesse risposto.
Ma tutti erano sicuri che Pietro Ivanov avesse completamente perso il lume della ragione.
La ragazza, come c'era da aspettarsi, non aprì bocca. Si voltò invece completamente verso il soldato, scivolando in una posa di attacco simile a quella con cui aveva sorpreso e spaventato i militari poco prima. Solo che questa volta Ivanov sperava proprio in quello.
Il soldato alzò entrambi i pugni già coperti da bianche fasce, nella classica posizione che assumono i pugili durante uno scontro. La Gemella stese un braccio davanti a sé, alzando indice e medio e muovendoli in un chiaro segno di invito ad attaccare e Pietro Ivanov non se lo lasciò ripetere, lanciandosi contro la giovane.

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