Capitolo Ventisei

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La porta si spalancò e diverse figure irruppero nella stanza, bloccandosi stupite nel vedere la gabbia sparita e le schegge sparse ovunque.
Era quasi ironico pensare che alcuni tra gli uomini più intelligenti d'America avessero creduto davvero di essere in grado di contenere la Gemella rimasta con una semplice gabbia, per quanto resistente e indistruttibile essa potesse essere.
-Evie!-
Dal gruppo appena giunto si staccò un corpo in costume, correndo verso le due ragazze alla loro destra.
Spider-Man si tolse la maschera, senza curarsi minimamente dei vetri sotto i suoi piedi coperti dal tessuto rosso, accovacciandosi poi al fianco della Gemella, gli occhioni castani spalancati dalla preoccupazione e lo stupore.
-Evie stai bene?-
-Peter...- sussurrò lei, mentre i suoi occhi tornavano lentamente del consueto verde pur sempre spettacolare.
-Dio mio, le tue braccia.-
Il ragazzo passò le dita tremanti sulla pelle della ragazza, ancora piena di schegge. Ma lei non sentiva nemmeno vagamente il dolore, fissava con gli occhi che si facevano via via sempre più lucidi il volto preoccupato di Parker.
-Andrà tutto bene Evie, te lo prometto.-
-Tutto bene? Ha tentato di evadere!- gridò qualcuno alle spalle del ragazzo.
-Non voleva scappare, è colpa mia.- rispose Wanda con tono serio, anche se la loro conversazione sembrava su un altro piano rispetto a ciò che accadeva tra Peter e Evie.
-Peter...io li ho uccisi...- mormorò la Gemella, mentre una lacrima rigava il suo volto.
-Di chi...-
-Li ho uccisi...- ripeté lei, prendendosi la testa dolorante tra le mani. -Perché se non li uccidevo io, lui avrebbe ucciso me.-

Peter la guardò ancora più preoccupato.
-Andrà tutti bene Evie, fidati di me.- ripeté, sperando che la ragazza stesse solo delirando per via della botta che doveva aver evidentemente preso alla testa.
-Tutto bene...- sussurrò lei, passando il pollice su una delle tante cicatrici che aveva sul volto.
Peter voltò la testa verso il resto della squadra, che si urlava l'un l'altro cose irrilevanti secondo il ragazzo.
-Tutti zitti!- gridò così forte da far sussultare Iron Man e Captain America.
-Le serve subito un dottore, sta perdendo troppo sangue.- sentenziò il ragazzino, facendo ammutolire l'intero gruppo.
-Vieni Evie.- sussurrò cercando di mantenere un tono calmo, nonostante la sua mano si fosse tinta di rosso non appena egli l'aveva posata dietro la testa della ragazza.
Senza sforzi la sollevò, prendendola in braccio, e si avviò verso l'uscita dell'ormai inutile prigione, con gli occhi di tutti puntati addosso.

-Dottor Banner!- gridò, non appena fu fuori nel corridoi. -Dottor Banner c'è un'emergenza!-
Senza aspettare gli altri, anche Wanda uscì dall'immenso salone e seguì Peter lungo i corridoi, tenendo d'occhio il volto della ragazza. Le iridi ancora rossastre, l'intricata rete di cicatrici sul suo viso e l'espressione impassibile, alienata, del suo volto la faceva somigliare in maniera piuttosto inquietante ad un cadavere, o al mostro di un qualche film horror che, Wanda era sicura, Steve Rogers gli avrebbe impedito di vedere.
-Dottor Banner!- chiamò ancora Peter, il tono che cominciava a presentare sfumature di panico mentre si avvicinavano al laboratorio dove venivano portati solitamente i feriti.
-Friday, chiama il dottor Banner.- ordinò Wanda ad alta voce, posando nel frattempo una mano sulla fronte della ragazza e concentrandosi. Leggere spirali rossastre si arrotolarono intorno alle sue dita, illuminando di quando in quando la fronte della Gemella.
-Subito.- rispose la voce meccanica dell'assistente robotica di Tony Stark, mentre i due ragazzi entravano nel laboratorio ovviamente vuoto a quell'ora del giorno.

Nel frattempo, i restanti Avengers erano rimasti nella prigione, chi a guardare sconvolto i resti di una delle celle più sicure mai create, chi a rimuginare sulle parole di Wanda.
Tony Stark aveva chiaramente sentito cosa la prigioniera aveva detto al bimbo ragno prima che lui li zittisse tutti. E aveva anche ben capito le parole di Scarlett Witch.
"Non potete chiuderla in una gabbia e aspettarvi che lei faccia del bene!"
O

vviamente aveva ragione, se la si vedeva così loro sembravano dei veri mostri. E molto probabilmente, pensò Stark, lo erano veramente.
Nick Fury aveva mandato piccole squadre a setacciare alcune delle zone che la ragazza aveva segnato sulla lista il giorno precedente e la prima di esse aveva già intravisto qualcosa. Se anche tutti gli altri indirizzi fossero stati altrettanto veritieri avrebbero avuto la posizione esatta di un buon settanta per cento delle basi che l'Hydra aveva installato in giro per tutto il mondo.

-Wanda ha ragione. Io vado a vedere come sta.-
La voce di Steve ruppe il silenzio che da qualche minuto a quella parte aveva regnato sovrano. I passi del Capitano risuonarono per un poco nel corridoio, poi scomparvero lasciando un silenzio ancora più pressante del precedente.
-Scusa Tony.- disse Natasha, lasciando anche lei la stanza, subito seguita in religioso silenzio da Clint Barton.
-Come è possibile che abbia distrutto la cella?- chiese, prendendo un po' di coraggio, Sam Wilson, guardando ancora i frammenti sparsi a terra.
-Ha...urlato.- sentenziò Visione, mentre raccoglieva una scheggia e la osservava accuratamente.
-Era la cella più resistente al mondo, non si distrugge gridando.- obbiettò Rhodey. L'uomo si era occupato personalmente di assicurarsi della qualità della cella, andando a testarla con ciò che di più letale possedeva direttamente in Wakanda.

Nulla era riuscito a scalfire la gabbia dall'interno.
-Un grido normale no. Ma il suo non era un grido normale.- rispose Visione, guardando verso Tony, che sembrava completamente su un altro pianeta.

Il milionario aprì il casco della propria tuta e fece qualche passo avanti, piegandosi a raccogliere un foglio abbandonato tra le macerie della cella.
Il ritratto di un ragazzo con bellissimi lineamenti e un sorriso provocante ammiccava da quel pezzo di carta un po' stropicciato, sicuramente opera della ragazza che aveva stanziato nella gabbia per quelle settimane.
-Tony?-
-Umh?-
L'uomo voltò il capo verso i pochi rimasti nella stanza.
-Devo chiamare T'Challa per chiedere una nuova cella?- chiese James Rhodes, guardando con seria preoccupazione l'amico.
-Cosa? Oh, no, assolutamente no.- rispose Iron Man, rimettendosi dritto e piegando il foglio di carta, facendolo poi sparire da qualche parte sotto la tuta.
-Non ce ne sarà più bisogno.-

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