Un Amico

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"Ygritte! Ygritte, stai bene?".

Le sembrava di avere in testa un concerto di percussioni. A fatica riaprì gli occhi e si accorse di essere sdraiata su una panchina: di fronte a lei c'erano Lina e Celia. Nessuna traccia di Xavier o Isabelle

Allora ho sognato tutto?

Si toccò la testa, dove trovò un elegantissimo bernoccolo con tanto di taglio. Ahi. Che male.

"Riesci a rispondermi?" chiese Celia, e Ygritte grugnì. "Sì, ma mi fa un male cane questa cosa che ho sulla fronte. Non riesco a fare a meno di sbattere la faccia ogni mezzo minuto".

Celia sospirò. "Tranquilla, ti portiamo in ospedale e...". "No, non importa, passerà. So riconoscere una semplice botta in testa. E poi non c'è tempo".

Lina si passò una mano sulla fronte. "Sicura di stare bene? Domattina dobbiamo partire per Osaka".

Ygritte si accorse che era notte fonda.

"Come avete fatto a trovarmi?". Celia le si sedette accanto. "Dopo che mi hai chiamata ti ho aspettata, ma non arrivavi... volevo assicurarmi che stessi bene e ti ho trovata qui. Che ti è successo?".

Non voleva assolutamente che si preoccupasse. "Niente, sono inciampata". "Vai pure a casa, Celia, l'accompagno io in ospedale per un controllo veloce". "Ma...". "Niente ma, Ygritte".

Celia abbracciò la sorella, poi corse verso casa.

Rimasero solo Lina e Ygritte. La ragazza guardò di sottecchi la donna: sembrava aspettarsi qualcosa.

"Ygritte. C'è qualcosa che non so ma dovrei sapere?".

Sospirò. "Va bene. Un tizio ha cercato di...rapinarmi, e io ho iniziato a correre. Lui mi ha presa per una caviglia e sono caduta. Poi... Poi ho visto Isabelle. E Xavier. Mi hanno salvata loro".

La donna rimase zitta per qualche secondo.

Mi nascondi qualcosa.

"C'è qualcosa che non so ma che dovrei sapere?". "Non mi fare il verso". "Rispondimi".

La donna si agitò sulla panchina. "Io... Mi dispiace non averti detto di Jordan e Dave".

C'era sicuramente dell'altro, ma per il momento Ygritte non se la sentì di insistere. "Se ci fosse qualcosa me lo diresti, vero?". "Certo. Adesso vieni in ospedale".

Ygritte scosse la testa. "So bene. E poi... devo vedere un amico". "Chi?". "Non sono affari... Senti, non voglio litigare. Ci vediamo domani".

Lina le mise una mano sulla spalla. "Se ci sono problemi di qualsiasi tipo, chiamami". "Okay".

Si rialzò dalla panchina, mise le mani in tasca e si allontanò. Ricordava dove andare, sperava solo che non avesse cambiato indirizzo.

Dopo una decina di minuti era davanti alla casa che le interessava. Suonò il campanello, dondolandosi sui talloni.

Il ragazzo che le aprì la porta aveva gli occhi verdi e i capelli castani acconciati in una cresta.

"Ciao, Caleb. Posso entrare?". "Ti sei portata dietro la squadretta?". "No. Nessuno sa che ti conosco".

Il silenzio che seguì era teso come una corda di violino, ma alla fine Caleb le fece cenno di entrare. Ygritte si sedette sul divano, togliendosi le scarpe e incrociando le gambe.

"Davvero non si sono accorti che mi conoscevi?". "Sono una brava attrice". "L'insulto dell'ananas era un po' troppo creativo". "Puoi smettere di cambiare discorso?".

Silenzio di nuovo. Ygritte guardò il suo amico: non sembrava più lo psicopatico della Absolute, solo... cupo. E arrogante, ma quello era la sua natura. Da sempre.

"Quando pensavi di dirmelo, per esempio?". "Suppongo che ti arrabbieresti se dicessi mai". Ygritte sbuffò. "Perché?". "Lo sai perché". "Il potere? Ci sono altri modi, altre cose più importanti". "Sei qui solo per la ramanzina?".

La ragazza scosse la testa. "Posso dormire qui?". "Non torni dai tuoi?". "Io... Rivederli adesso che ho ritrovato mio fratello farebbe male".

Il ragazzo si sedette sul bracciolo del divano. "E così. Ce l'hai fatta". "Già". Caleb si alzò, prendendo una coperta da sopra un armadio e gettandolo alla sua amica.

"Cal, dimmi solo una cosa. Eri felice? Con la pietra e la Royal?". "Buonanotte sis".

Poi salì le scale e scomparve al piano superiore. Ygritte rimase sveglia qualche altro minuto prima di avvolgersi nella coperta.

Caleb... mi dispiace.

Il ricordo del loro primo incontro l'accompagnò nel sonno.

Era da poco nella sua nuova casa. Un giorno aveva deciso di uscire, e aveva incontrato quel ragazzino con la cresta mentre tirava calci a un pallone sgonfio. Sembrava triste.

"Ehi, che hai?". "Nulla che ti interessi". "Okay".

Gli aveva rubato il pallone con uno scatto. "Se riesci a riprenderlo ti lascio in pace". Il bambino le si era lanciato contro, ma per quanti spintoni le tirasse la palla restava tra i suoi piedi.

Finalmente, dopo quasi mezz'ora, ci era riuscito. "Alla buon'ora". "Sta' zitta". "Sono Ygritte. Ci vediamo".

Lui l'aveva guardata. "Io... mi chiamo Caleb. Vivo in fondo alla strada. Ci vediamo".

Si svegliò a causa dello squillo del proprio cellulare: erano le tre di notte. "Pronto?". "Ygritte, stai bene? Celia mi ha detto che...". "Shawn, tutto okay. Senti... dobbiamo parlare. Domattina prima di partire, davanti alla Torre Inazuma. Chiariamo alcune cose". Attaccò prima che potesse risponderle, lanciò il cellulare sul tavolino accanto al divano e chiuse gli occhi.

Voleva solo dormire.

My name is Ygritte Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora