9.

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«Allora, visto che a quanto pare il mio piano non sta funzionando, sono passato al piano B» alzo un sopracciglio a quell'affermazione, distogliendo lo sguardo dal libro che sto leggendo per dare la mia completa attenzione a Paulo che si sta alzando in piedi, imitando un oratore romano.

«Perché, avevi un piano?» poso il libro sul divano e mi metto seduta composta, attenta ad ogni sua mossa.

«Sì, mia piccola Jazmín, avevamo un piano» mi fa l'occhiolino e io corrugo le sopracciglia, cercando di ricordare quando esattamente avevamo ideato un piano.

«Farò finta di saperne qualcosa» alzo gli occhi al cielo, ridendo della sua faccia delusa.

«Allora, è quasi luglio» afferma, e manca poco che tiri fuori una lavagnetta su cui scrivere questo benedetto piano B.

«E fin lì non ho nulla da controbattere» annuisco, per una volta è lui ad essere quello infastidito da ciò che è stato detto e non io.

«Questo vuol dire che tra quasi un mese io tornerò in Italia e non potrò più aiutarti» mi guida nel suo ragionamento, che di logico non ha proprio nulla.

«Sono sopravvissuta tutto questo tempo senza di te, credo di riuscire a sopportare questa perdita» mi porto la mano al cuore, fingendo di star soffrendo moltissimo.

«Stronza» borbotta, rigirandosi tra le dita il braccialetto rosso che ha al polso.

«Continua» lo prego, sperando che questa farsa finisca in fretta e io possa tornare a dedicarmi completamente al meraviglioso libro che stavo leggendo.

«Propongo un cambiamento radicale» allarga le mani e i suoi occhi guardando da qualche parte sopra la mia testa, come se si stesse già immaginando me vestita con una minigonna e dei tacchi vertiginosi entrare in questa stanza.

«Questo è veramente, veramente patetico» sbuffo, prendendo di nuovo il libro tra le mani e cercando il segno per ricominciare a leggere indisturbata.

«No, ascoltami» mi sfila il libro dalle dita e prende il mio viso tra le mani, facendo in modo che gli dia tutta la mia attenzione «Questo cambiamento sarà diverso»

«Hai descritto una parola con un suo sinonimo» gli faccio notare, facendolo infastidire ancora di più.

«Puoi evitare di essere saccente finché non finisco di parlare?» chiede, frustrato. Ha ancora le mani sul mio viso, così fa muovere la testa, facendo sembrare che io stia annuendo.

«Perfetto» esclama, eccitato «Innanzitutto, quanto ti manca?» indica i suoi occhi, e il primo pensiero è che voglia farmi togliere gli occhiali.

«Non mi metterò le lenti a contatto» affermo, sicura di ciò che sto dicendo.

«Perché no?» allunga le vocali, con un tono supplichevole. Si inginocchia davanti a me, con le mani giunte in segno di preghiera.

«Ma per favore, Paulo» mi alzo dal divano, facendo per andare in camera mia.

«Dai, dammi almeno una possibilità» continua a pregarmi, seguendomi con lo sguardo mentre si alza in piedi.

«Non ti rendi conto che questa cosa è una buffonata?» gli chiedo, alzando le braccia al cielo «Lo capisci almeno?» continuo, aspettando una sua risposta.

«Perché credi che lo sia? Il cambiamento non è necessario, fidati di me, sei bellissima anche così...» lo fermo subito, prima che possa continuare.

«Lautaro è pazzo di Perpetua, te ne sei reso conto o fai finta di niente? O sei forse cieco? Quante dita sono queste?» gli faccio il medio, salendo velocemente le scale e gettandomi sul letto, cominciando a piangere a dirotto.

¡Mala Mía!paulo dybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora