26.

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Mi sveglio spontaneamente, a causa della luce proveniente dalle tapparelle semi-aperte, e allungo le braccia, stringendo gli occhi.

Sento delle voci maschili provenienti dal soggiorno e richiudo gli occhi. Ieri sera, dopo la nostra breve litigata, sono arrivati Federico e Nahuel e hanno involontariamente messo fine al confronto mio e di Paulo.

Hanno giocato a Fifa tutta la sera, mangiando schifezze ed esclamando cose non troppo eleganti gli uni nei confronti degli altri.

Per quanto riguarda me e Paulo, invece, non abbiamo parlato quasi per nulla. Sono restata gran parte della serata seduta a uno degli sgabelli dell'isola della cucina, a leggere uno dei pochi libri che mi sono portata dietro dall'Argentina, illudendomi del fatto che non mi sarei mai annoiata.

Sono andata a dormire relativamente presto rispetto a loro, che invece sono rimasti a insultarsi vicendevolmente fino alle prime ore della mattina.

Mi alzo dal detto, desiderosa di visitare questa città a modo mio, senza seguire come un cagnolino Paulo come ho fatto nei giorni precedenti. Mi vesto, lego i capelli ed esco dalla camera.

«Buongiorno cariño» esclama Federico, per cui nutro una simpatia quasi spontanea. Paulo gli rivolge un'occhiataccia, bevendo il suo mate.

«Buongiorno» saluto i tre ragazzi, senza rivolgere delle attenzioni speciali a nessuno dei tre, per poi prendere un bicchiere d'acqua.

«Che piani avete per oggi?» chiede Nahuel, giochicchiando con la sua tazza stracolma di caffè.

«Io pensavo di fare un giro per Torino» Paulo fa per alzarsi e seguirmi, mentre mi avvio verso la porta «Da sola» preciso poi, lasciandolo un po' perplesso.

«Ah» si muove in imbarazzo, dondolandosi sulle gambe ed evitando di guardarmi direttamente in viso.

«Bene, buona giornata» sorrido a tutti e tre, per poi uscire da quel maledettissimo appartamento.

Non so muovermi in questa città, e questo lo sa anche Paulo, ed è probabilmente per questo che voleva seguirmi, anche se io gliel'ho impedito. Sorrido inconsciamente per la sua preoccupazione nei miei confronti.

Mi dimentico di tutte le preoccupazioni quando comincio a camminare senza meta per le vie di Torino, perdendomi tra gli edifici tanto diversi da quelli che ci sono in Argentina.

Il mio cellulare squilla un paio di volte, ma non mi preoccupo di tirarlo fuori dalla tasca nemmeno una volta, troppo concentrata nel riconoscere lo stile architettonico di questa città magnifica.

Quando abbasso lo sguardo, sulla città sta scendendo il sole e sta cominciando a fare freddo. Ho una certa fame, e tantissima sete, ma fino ad adesso non me ne sono resa conto pienamente.

Mi guardo intorno, e mi rendo conto di non avere la minima idea di dove mi trovo.
Cerco di calmarmi, cercando qualche indicazione stradale, ma vedo tutto sfocato e non riesco a concentrarmi abbastanza sui nomi delle vie perché sto facendo fatica a respirare.

Chiudo gli occhi. L'ultima volta che ho avuto un attacco di panico è stata undici anni fa, quando sono andata per la prima volta a scuola a Laguna Larga.

Metto le mani nelle tasche, afferrando il cellulare. Alcuni ragazzi si fermano accanto a me, parlandomi, ma io non riesco a capire cosa stiano dicendo.

Non riesco a vedere nulla, ma sento le guance bagnate e sembra che i miei polmoni stiano per esplodere. Non riesco a respirare, neanche se mi sforzo.

Una ragazza mi afferra il braccio, mi guarda negli occhi e mi dice di cercare di respirare profondamente, la guardo con gli occhi sbarrati. Indico il mio telefono, lei lo prende, chiedendomi il codice e, visto che non rispondo, prende il mio pollice e lo posiziona sul rilevatore di impronta digitale, sbloccandolo.

«Chi posso chiamare?» alza la voce, parlando lentamente e cercando di farmi capire ciò che dice.

«Paulo» sospiro, cercando di riprendere fiato. È l'ultima persona che vorrei chiamare al momento, ma è anche l'unico che sono sicura potrebbe venire a prendermi.

«Paulo, Paulo, Paulo» sospira lei, cercandolo tra i contatti. Mi passo le mani sudate sui fianchi, cercando di calmarmi in qualche modo.

Sono in una città sconosciuta, mi sono persa e una ragazza che non conosco mi sta aiutando a chiamare uno dei giocatori più famosi al mondo.

«Lo metto in viva voce?» chiede, io annuisco, spostando il peso da un piede all'altro.

«Jazmín, dove cazzo sei? Sono le sette, ti sto cercando da almeno tre ore! Che cazzo ti passa per la testa?» chiudo gli occhi, colpita dalle sue parole, rimanendoci quasi male per quello che ha appena detto, anche se so che lo fa per il mio bene.

«Paulo, senti, Jazmín sta avendo un attacco di panico» la ragazza non finisce neanche di parlare che viene interrotta.

«Cosa? Dov'è adesso?» mi porto le mani al viso, mentre lei guarda i muri degli edifici per trovare l'indicazione di una via.

«Ti mando la posizione» afferma poi, smanettando con il mio telefono.

«Tu chi sei?» stringo le mani, imponendomi di respirare regolarmente, ma non sembra funzionare.

«Sierra» risponde prontamente lei, stringendomi la mano e respirando con me.

«Arrivo subito, non vi muovete» la ragazza mette giù, porgendomi il cellulare, poi prende anche l'altra mia mano e mi guarda negli occhi, trasudando una dose di sincerità e sicurezza non indifferente.

«Sta arrivando, tu non preoccuparti, sarai presto a casa, però adesso respira» mi aiuta, non so neanche io come, e poi mi da un fazzoletto per asciugarmi le guance.

Sta con me finché non arriva Paulo, anche se ormai l'attacco di panico è passato, e si premura ad aiutarmi in qualunque modo possibile.

Quando una Maserati accosta accanto a noi, mi rivolge uno sguardo stupito e allo stesso tempo di ammirazione, ridacchiando.

«Però, te li scegli bene» esclama, divertita dal mio viso infastidito dal fatto che tutti pensino o che io e Paulo stiamo insieme o che passiamo le giornate l'uno sull'altro a rotolarci per la camera da letto.

«Grazie mille per avermi aiutato» le sorrido sinceramente, grata per quello che ha fatto. Se non si fosse fermata e avesse speso venti minuti della sua giornata con me, probabilmente non mi sarei ancora calmata e nessuno sarebbe potuto venire a prendermi.

«Non è niente, se resti a Torino ancora un po' magari ci vediamo qualche volta e mi racconti bene di questo Paulo» mi fa l'occhiolino, mentre io le porgo per la seconda volta il telefono perché lei scriva il suo numero.

«È stato un piacere conoscerti, Sierra» la ringrazio di nuovo, poi ci salutiamo definitivamente e apro la portiera dell'auto, lasciandomi cadere sul sedile e richiudendola quasi subito.

Mi volto verso Paulo, trovandolo con il braccio teso, una mano che stringe il volante, la mascella contratta e gli occhiali da sole sul viso, probabilmente a coprire i due occhi magnifici che si ritrova, annebbiati dalla rabbia che si percepisce anche da qui.

«Non provare a dire nemmeno una parola, sono già incazzato abbastanza, ne parliamo a casa»

lollissimo

ho stra sonno

però oggi le squadre che tifo (shoutout alla ragazza che sta cercando di indovinare quale sia, questo è un indizio importante) una ha vinto e l'altra ha pareggiato quindi sono super happy💖💖💖

ciaone🖤

¡Mala Mía!paulo dybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora