32.

5.9K 159 35
                                    

Il resto della serata è stato silenzioso, con io che non ho mai avuto il coraggio di ammettere che anche solo immaginarmi Paulo e Perpetua a letto insieme mi solleticava continuamente i pensieri, infastidendomi, e Paulo frustrato dal fatto che io non volessi ammettere ciò che lui sapeva già essere la verità.

Guardo la facciata della Sagrada Família, incantata come qualche ore fa quando siamo arrivati a Barcellona. La luce dei lampioni illumina fiocamente la piazza, proiettando delle ombre sul viso pulito di Paulo, che alterna sguardi rivolti verso l'alto e altri verso il basso, scuotendo la testa di tanto in tanto.

Un musicista di strada sta suonando una chitarra giusto sotto la chiesa, guardandosi intorno. Ci osserva mentre siamo uno affianco all'altro, pensierosi, e poi sorride.

«Balades, balades!» esclama, indicandoci e sorridendo sempre più radiosamente.

«Cosa sta dicendo?» sussurro, cercando di non farmi sentire da nessuno che non sia Paulo.

«Sta dicendo di ballare, è catalano» dice semplicemente lui, scrollando le spalle e infilandosi le mani in tasca.

«E dobbiamo ballare?» chiedo, anche se so che suona molto di più come un invito che come una domanda.

«Non so, vuoi ballare? Io non ne ho voglia» il suo tono è duro e cerca continuamente di evitare il mio sguardo.

«No, non importa» lo imito, mettendo le mani in tasca e continuando a guardarmi in giro, per evitare di fargli vedere il mio sguardo deluso. Volevo veramente ballare con lui.

«Anem, ningú et mira, balades!» continua il ragazzo, lasciandomi sempre più perplessa mentre guardo Paulo.

«Cosa sta dicendo?» chiedo di nuovo, con un tono più timido, sperando di non ricevere un altro rifiuto.

«Ti faccio vedere» mi afferra per i fianchi, ridendo, e io allaccio le braccia dietro al suo collo «Seguimi, questa volta so come si fa» rido alle sue parole, lasciandomi guidare da lui nei movimenti.

Piega le gambe, muove il bacino, e mi accarezza i fianchi, osservando le nostre gambe che si muovono insieme.

«Ahi» mi lamento, quando mi pesta un piede.

«Oh, e dai» esclama, fermandosi e appoggiando la testa sul mio petto, probabilmente sfinito psicologicamente dalla concentrazione che ci ha messo per ballare in modo coordinato, mentre io scoppio a ridere, chiudendo gli occhi e piegando il collo, con il viso rivolto verso l'alto.

«Apprezzo il tentativo» continuo a ridere sonoramente, accarezzandogli i capelli corti sulla nuca.

«Ci ho provato seriamente» mormora, sfiorando con il naso prima la parte del mio petto lasciato scoperto dalla maglietta, poi il collo.

«Ho visto, sei migliorato tanto in così poco tempo» mormoro, il suo viso così vicino al mio. La musica non è lenta, ma a lui non sembra importare quando mi stringe di più al suo corpo e comincia a dondolare sulle gambe.

«Grazie» abbassa lo sguardo, sorridendo teneramente, come farebbe un bambino.

«Non guardarmi le tette» sposto le mani dai suoi capelli per tirarmi su la maglietta ed evitare di sentirmi così in imbarazzo.

«Allora, non posso guardarti il culo, non posso guardarti le tette, che cosa devo fare? Mi stai togliendo tutti i piaceri della vita» sorride ancora, ma questa volta il suo sorriso è malizioso e mi spinge ad abbassare lo sguardo per evitare di guardarlo.

«Non lo so, guardami in viso» mormoro, appoggiando la fronte sul suo petto per evitare che lo faccia veramente.

Paulo mi afferra le mani e mi fa fare una giravolta, per poi attirarmi nuovamente vicino a lui, portando le mie mani ad allacciarsi dietro il suo collo.

«Sei bellissima, con o senza quel culo favoloso che ti ritrovi, con o senza quelle tette ultragalattiche che ti ostini a coprire» mi stampa un bacio sulla fronte e io gli sorrido, ringraziandolo silenziosamente per il complimento.

«Què estàs esperant?» esclama il ragazzo, che adesso ha smesso di suonare. Paulo apre la bocca, come per dirmi la traduzione di ciò che quel ragazzo ha appena detto.

«Questo l'ho capito» mormoro, ridacchiando, a così poco dal suo viso. I nostri nasi si sfiorano, ma lui mi sta guardando dall'alto, come al solito.

Sto per aprire bocca, per aggiungere qualcosa, ma lui posa la sua fronte sulla mia, chiudendo gli occhi e rilasciando un sospiro che ho l'impressione trattenesse da molto tempo.

«Mi dispiace, mi dispiace tanto» sussurra, così vicino al mio orecchio.

«Ti dispiace per cosa?» chiedo, schiarendomi la voce per l'imbarazzo della situazione. Dei bambini ci stanno guardando, probabilmente poco interessati alla nostra conversazione e molto più interessati al fatto che siamo così vicini.

«Perché ti ho portato qui, non avrei dovuto, non ci sarebbe dovuta essere nessuna scommessa e nessun premio che non fossi tu per Lautaro» abbassa la voce, per evitare che delle persone indiscrete lo sentano.

«Cosa vuoi dire? Perché dici che non mi avresti dovuto portare qui?» mi allontano un po', per guardarlo in viso e capire se è serio o tutto ciò che sta dicendo è solo frutto di uno scherzo di cattivo gusto.

«Niña» sospira, spostando la sua mano destra sulla mia guancia e accarezzandola lentamente «Io e te non dovremmo essere così, non dovremmo ballare in piazza a Barcellona, non dovremmo girare mano nella mano o abbracciati, non dovrei fare apprezzamenti sul tuo fisico» sospira, tutto d'un fiato.

«Perché? Io sto bene con te, così, e sei sempre tu ad aver cercato il contatto fisico» gli faccio notare, indicando con lo sguardo prima la sua mano sulla mia guancia e poi quella sul fianco.

«Sono una persona fatta così, cerco il contatto fisico con tutti, soprattutto con le belle ragazze» alzo gli occhi al cielo al suo commento «Però adesso non me la sento di continuare questa cosa» si allontana un po' da me, ma io lo tengo saldamente per impedire che vada via.

«Continuo a non capire» corrugo le sopracciglia, guardandolo negli occhi e cercando di far passare il mio disappunto nei suoi confronti.

«Ne possiamo parlare in hotel? O a Torino, sì, meglio a Torino» si allontana definitivamente da me, mettendosi le mani in tasca e avviandosi verso l'albergo.

Il ragazzo con la chitarra mi guarda, con una palese espressione delusa dipinta in volto, e io scrollo le spalle, cercando di fargli capire però che non sarebbe mai potuto succedere nulla.

«La propera vegada que us veig, vull veure'ls junts» esclama, quando entrambi ci stiamo allontanando.

«No crec que sigui possible, fins i tot si m'agradaria» risponde Paulo, senza nemmeno voltarsi.

«Da quando sai il catalano?» lo raggiungo, camminandogli affianco e guardando per l'ultima volta il cielo scuro e i tetti alti.

«Sono un uomo dalle mille risorse, Jazmín» replica velocemente lui, lasciando cadere il silenzio sul nostro breve scambio di battute.

lollissimo

OKAY visto che mi piace farvi soffrire ho postato questo capitolo stasera perché non so se riuscirò a postarne uno domani

comunque il bacio era programmato per questo capitolo

e invece nulla

e vabbè, almeno stasera gioca il Barcelona

ciaone♥️💙

¡Mala Mía!paulo dybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora