15.

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Respiro affannosamente e il più silenziosamente possibile, con qualche foglia dell'arbusto vicino a cui sono seduta che mi solletica la schiena e le gambe.

Quando ho sentito i passi avvicinarsi, il primo nascondiglio che ho visto è stata la finestra e, visto che fortunatamente casa di Paulo è tutta su un piano, mi ci sono gettata fuori, cadendo su una pianta le cui foglie erano molto fastidiose.

«Per caso c'è qualcuno?» sento dire, da dentro la stanza, e trattengo il respiro.

«Lautaro, non dire sciocchezze, non c'è nessuno» sento anche la voce di Paulo avvicinarsi e cerco di schiacciarmi il più possibile contro il muro, mentre comincio anche ad avere un po' di freddo.

Alzo lo sguardo e vedo il più grande affacciato alla finestra. Mi guarda per un attimo, di sfuggita, ma non fa notare a suo nipote nulla e chiude le finestre.

Sento ancora qualche spezzone di frase, ma è tutto scollegato e non riesco a trovare qualcosa di logico in ciò che stanno dicendo, quindi mi limito a stringere le braccia e le gambe al petto e cercare di scaldarmi il più possibile.

Qualche minuto dopo la porta d'ingresso si apre e Lautaro esce e, fortunatamente, si dirige dalla parte opposta rispetto a dove mi trovo io. Cosa dovrei fare? Tornare dentro? Oppure andare direttamente a casa?

Chiudo gli occhi, stanca di tutto questo correre. Vorrei, per un giorno, restare a casa, sul letto, a rigirarmi tra le lenzuola e ascoltare musica tranquilla, senza che nessuno mi disturbi.

Una coperta si posa sulle mie gambe e apro di scatto gli occhi, impaurita. Paulo fa un passo indietro, spaventato dalla mia reazione.

«Vuoi la coperta o ti metti ad urlare?» chiede, in un sussurro, porgendomi la mano per aiutarmi ad alzarmi.

«Ho preso uno spavento non indifferente, tutta colpa tua» mi alzo in piedi, cercando di togliere tutte quelle cazzo di foglie appuntite dai pantaloni.

«Scusami, credevo stessi dormendo» mi mette la coperta sulle spalle, portandomi dentro casa e facendomi stendere sul divano.

«Ti porto un the caldo» afferma, senza lasciarmi nemmeno parlare.

«Non serve, veramente, sto bene» mi lamento, portandomi una mano alla fronte e sentendo che effettivamente è calda.

«Sei pallida» mette dell'acqua sul fuoco e poi si gira verso di me, appoggiandosi al ripiano della cucina.

«Non è vero» mormoro, chiudendo gli occhi «Cosa ti ha detto Lautaro?» chiedo, stringendomi le braccia al petto e stendendomi meglio sul cuscino.

«Credo che lo abbia sentito anche tu» apro un occhio solo per vederlo alzare un sopracciglio per rimproverarmi.

«Alla fine non è successo nulla, calmati» richiudo gli occhi, sfinita.

«Sì, per fortuna, ma metti caso che Lautaro ti scopriva, nella mia camera, quando eravamo a casa da soli, dopo quello che è successo l'altra sera ci sarebbe stato molto da fraintendere» mette la bustina nell'acqua e spegne il gas, per poi controllare l'orologio.

«Ma sono stata abbastanza sveglia da non farmi beccare, quindi non è successo nulla» mormoro, sbadigliando e stringendomi meglio la coperta addosso.

«Tieni» mi porge la tazza fumante e io mi metto seduta, prendendola tra le mani che si scaldano quasi immediatamente.

«Grazie mille» lui annuisce semplicemente, sedendosi accanto a me e stendendo le gambe sull'isola del divano mentre io soffio sul the e ne prendo qualche sorso, cercando di non scottarmi la lingua.

«Non è niente, ti ho detto che mi fa piacere passare il tempo con te» sorride teneramente e io ricambio il sorriso, ringraziandolo di nuovo, ma questa volta silenziosamente, per non sembrare ripetitiva e fastidiosa.

«Sei carino» sussurro, finendo il the e allungandomi per appoggiare la tazza sul tavolino davanti a me.

«Sì, e tu sei sicuramente malata» mi fa stendere di nuovo, e io chiudo gli occhi.
Ho la testa appoggiata sulle sue gambe, i capelli sparpagliati tra il divano e i suoi pantaloni della tuta, lui me li accarezza, cercando di farmi rilassare, e mi rimbocca le coperte come farebbe un padre con la figlia che ha l'influenza.

«Dormi» mi accarezza il fianco, prima che io riesca finalmente ad addormentarmi. Dormo per quelli che mi sembrano cinque minuti, prima di sentire la porta d'ingresso aprirsi ma, anche se sono sveglia, tengo gli occhi chiusi, nel vano tentativo di tornare nel mondo dei sogni.

«Hermano?» una voce profonda, ma a me sconosciuta, rompe il silenzio della stanza e sento freddo sul fianco, segno che Paulo si è svegliato e ha spostato la mano.

Socchiudo gli occhi, vedendo un uomo entrare nella stanza e rimanere abbastanza stupito dalla scena che si trova davanti.

«Gustavo» esclama Paulo, e se prima potevo far finta di dormire, a causa del suo tono alto di voce non posso non essermi svegliata definitivamente.

«Torno un'altra volta? Questo non mi sembra il momento più opportuno» si gratta la nuca, evidentemente in imbarazzo e fa per andarsene.

«No, tranquillo, stavamo dormendo» finisco la frase quasi mormorando, rendendomi conto di chi ho davanti. È il padre di Lautaro.

«Sì, stavamo dormendo» ripete Paulo, stropicciandosi gli occhi e sistemandosi sul divano mentre anche io mi siedo, cercando di mettere apposto i capelli.

«No veramente io» si allontana, dirigendosi verso la porta «Posso tornare dopo» Paulo si alza, dirigendosi verso la cucina per prendergli qualcosa da bere.

«Sei appena tornato da Buenos Aires?» chiede, versandogli del the in una tazza mentre il fratello si siede, a disagio, su una sedia dell'isola della cucina.

«Sì, sono tornato oggi pomeriggio» gli porge la tazza e mi guarda con un'espressione interrogativa in volto.

«Oggi pomeriggio? Perché, che ore sono?» chiedo, dando voce ai miei pensieri e anche a quelli di Paulo. Quanto abbiamo dormito?

«Sono le otto» risponde Gustavo, con fare ovvio.

«Cazzo! È tardissimo» mi alzo in piedi, infilando velocemente le scarpe e cercando la giacca.

«Stai tranquilla, ti porto a casa io» mi rassicura Paulo, facendomi cenno di sedermi accanto al fratello.

«Non serve che ti disturbi, veramente, posso tornare a casa a piedi» mormoro, sedendomi timidamente accanto all'uomo che mi squadra da capo a piedi.

«No, resta» dice, prima di schiarirsi la voce e cercare di far sparire la tensione che si è creata «Jazmín, lui è Gustavo, mio fratello» ci indica, incoraggiandoci a stringerci la mano «Gustavo, lei è Fe Jazmín» termina, sedendosi davanti a me e sorridendo, cercando di rassicurarmi.

«Com'è andata a Buenos Aires?» chiede Paulo, cercando di smorzare la tensione.

«È stato faticoso, molto, non vedevo l'ora di tornare» mi rigiro delle ciocche di capelli tra le dita, sentendomi immediatamente di troppo.

«Beh, che ne dici se io accompagno Jazmín a casa e poi mi racconti tutto per bene? Non sta molto bene» Gustavo annuisce, sorridendomi fintamente, e prende un sorso del suo the.

«Buona guarigione!» mi augura, con una punta di sarcasmo nella sua voce. Paulo mi passa la giacca e io la infilo mentre lui saluta il fratello, poi usciamo di casa e apre la portiera della macchina, facendomi cenno di salire.

«Che cavaliere» lo prendo in giro, sedendomi.

«Non esiste più la cavalleria di una volta» si siede al posto del guidatore, facendo partire quasi subito la macchina.

«Non farne parola con Lautaro» gli dico, lui mi rivolge uno sguardo perplesso «Quello che è successo, non farne parola con Lautaro» preciso, un po' in imbarazzo.

«Non glielo avrei detto in ogni caso, niña» socchiudo gli occhi, posando la testa sul sedile.

lollissimo

boh niente

ciaone

¡Mala Mía!paulo dybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora