30.

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«Eccoci arrivati, sani e salvi» Paulo mi porge la mano, aiutandomi a scendere dalla scaletta del suo aereo privato che si era ostinato ad adoperare.

«Ci mancherebbe altro» mormoro, mettendo finalmente i piedi a terra e sentendomi immediatamente meglio. Volare non fa proprio per me.

«Adesso hai intenzione di dirmi dove mi hai portato?» chiedo, probabilmente per la decima volta quel pomeriggio. Il ragazzo ha voluto che il tutto rimanesse segreto, e che la destinazione fosse una sorpresa.

«No, ma sono sicuro che sei talmente intelligente da scoprirlo presto» mi rivolge uno sguardo ammiccante e poi mi prende per mano, camminando con me verso l'entrata dell'aeroporto.

«Non siamo in Italia» appuro, guardandomi intorno.

«Giusto» si infila gli occhiali da sole, trascinandomi verso le nostre valigie.

«E allora dove siamo?» prendo la mia valigia, rivolgendo qualche ringraziamento all'uomo di mezza età che ce le ha portate, poi ricomincio a seguirlo.

«Ti ho detto che lo scoprirai presto» si alza il cappuccio, troppo impegnato nel nascondersi dalla gente per dirmi dove mi ha portata.

«El Prat?» leggo, cercando di scavare nella mia memoria per capire dove si trovi questo aeroporto.

«Barcellona! Mi hai portato a Barcellona!» esclamo, sprizzando gioia da tutti i pori e fermandolo in mezzo all'aeroporto per saltargli addosso ed esprimere tutta la mia felicità.

«Non ci eri mai stata e so che tifi Barcellona, mi sembrava una cosa carina» giustifica la sua scelta, mormorando timidamente.

«È una cosa bellissima, grazie grazie grazie» gli stampo un bacio sulla guancia, poi un altro e un altro ancora, sorridendo come una pazza.
Lui chiude gli occhi, beandosi delle mie attenzioni e afferrandomi per i fianchi.

«Vieni, qui non serve essere sotto una doccia gelata per ballare» ride alle sue stesse parole, mentre io sono un po' perplessa.

«Cosa vuoi dire?» chiedo, mentre ci dirigiamo fuori dall'aeroporto. Il cielo è di un azzurro stupefacente e non sembra esserci nemmeno una nuvola.

«Oh andiamo, non hai mai ascoltato la canzone di Ed Sheeran? Proprio mai? Let's pretend we're dancing in the streets in Barcelona?» scuoto la testa, alzando le sopracciglia, leggermente divertita dalla sua pronuncia inglese.

«Hai un appartamento anche qui? O siamo diretti a un hotel a cinque stelle in centro?» chiedo, mentre lui sta chiamando un taxi.

«Non ho nessun appartamento a Barcellona, non ne vedo l'utilità visto che vengo qui raramente, quindi ho puntato più sull'hotel di lusso, spero che non ti pesi dormire con me» posa il cellulare, avvistando un taxi.

«Vorrà dire che dormirò per terra» sospiro, trascinandomi dietro la valigia mentre lui rincorre quell'auto.

💙💙

«Questa camera è gigantesca! Non oso chiederti quanto tu abbia speso» allargo le braccia, entusiasta, e mi dirigo verso il balcone per osservare meglio la splendida vista che Barcellona riesce ad offrire.

«Sono contento ti piaccia, piace molto anche a me» si guarda intorno, poi si lascia cadere sul letto, sfinito dal viaggio.

«Paulo, è bellissimo» osservo il profilo della Sagrada Família che si staglia sul rosso del tramonto.

«Una bellissima città per una bellissima ragazza» mi cinge i fianchi con le sue mani gelate e posa il mento sulla mia spalla, sfiorandomi il collo con il naso. Attribuisco tutti i brividi che provo alle sue mani fredde sul mio stomaco.

«Cena?» mi allontano da lui, messa a disagio da quel contatto prolungato.

«Cena» sospira, sistemandosi i capelli e abbassando lo sguardo.

«Pensi che debba prendere una giacca?» chiedo, indecisa sulla mia giacca di jeans appoggiata sulla valigia.

«No, avrai caldo, in caso ti darò la mia felpa» apre la porta della stanza, facendomi cenno di uscire.

«E tu come farai? Ti riconosceranno» mi fermo in corridoio, aspettando che lui prenda la chiave per uscire.

«Mi farò riconoscere, riesci a correre veloce con quelle scarpe?» alza un sopracciglio e io spalanco gli occhi, ricordando quella volta che avevo corso per cento metri e mi stavo già sentendo male.

«Sto scherzando, niña, andrà tutto bene» ridacchia e posa il braccio sulle mie spalle, con un sorriso da ebete stampato in volto.

«Cosa ridi?» mi giro verso di lui, concentrandomi sulle ciglia lunghe e gli zigomi alti per evitare di far cadere lo sguardo sulle sue labbra.

«Sei buffa quando ti preoccupi» mormora, schiacciando il pulsante per l'ascensore.

«Cosa vuoi dire?» spalanco la bocca, fintamente indignata, e lui scoppia a ridere. Una coppia di mezza età scende dall'ascensore e ci guarda sorridendo, contagiati dalla risata di Paulo.

«Gonfi le guance, spalanchi gli occhi e la bocca, dovresti vederti» continua a ridere, facendo fatica a respirare, mentre io alzo gli occhi al cielo.

«Sei fastidioso» premo il pulsante del piano terra e sto ad ascoltare la sua risata cristallina finché le porte non si riaprono.

«Corri» si abbassa il cappuccio della felpa, mostrando bene il suo viso a tutta la gente presente nella hall, poi mi prende per mano e comincia a correre per le vie di Barcellona.

«Sei un idiota» esclamo, con il fiatone, strattonandolo per farlo fermare.

«E tu sei senza fiato, di nuovo, ma Jazmín hai mai corso più di cinquanta metri per non perdere l'autobus?» mi prende in giro, rimettendosi il cappuccio.

«Senti, mister "corro e sudo per novanta minuti", non tutti si allenano dalla mattina alla sera come te» mi fermo, cercando di riprendere fiato «E, per la cronaca, io a scuola ci vado in bicicletta, non in autobus» mi fa la linguaccia, scoppiando a ridere.

«Quando eravamo usciti pensavo che saremmo andati a cena, non a correre la maratona di New York» mi rimetto dritta, lui si mette le mani nelle tasche e comincia a camminare, così lo affianco.

«Maratona di New York? Che esagerata» alza lo sguardo verso il profilo degli edifici, reso più confuso dalla luce che va mano a mano a perdersi «Comunque stiamo andando a cena, e il posto in cui ti voglio portare è molto carino» gli sorrido, un po' indecisa sul cosa dire. Il silenzio cade sulla nostra conversazione.

«Quindi, impressioni a caldo di Barcellona?» Paulo rompe il silenzio, probabilmente perché non è afflitto dai dubbi che invece infastidiscono me.

«È bellissima come la immaginavo, grazie per avermici portato» gli sorrido calorosamente e lui ricambia con almeno lo stesso entusiasmo.

«Mi fa piacere, tutti questi posti non sono così belli se ci si va da soli. Anche l'attesa ne è valsa la pena?» chiede, rivolgendomi uno sguardo ammiccante e alludendo a quanto io lo abbia stressato mentre eravamo in aereo.

«Barcellona sarebbe stata bella uguale se mi avessi detto che mi ci stavi portando» alza gli occhi al cielo alla mia risposta, sorridendo teneramente.

«Quei pantaloni ti fanno un culo ancora più bello» scoppia a ridere subito dopo aver pronunciato quelle parole.

«Idiota! Che devo fare per non farmi guardare da te?» gli tiro un pugno, delicatamente, sul braccio e lui mi guarda sorridendo.

«È impossibile, mi perdo a guardarti»

lollissimo

ALLORA

innanzitutto

la cosa che doveva succedere in questo capitolo in realtà succederà non il prossimo capitolo ma quello dopo

scusatemi

ditemi cosa ne pensate!! come pensate vada avanti la storia?

ciaone💖💖

¡Mala Mía!paulo dybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora