L'inferno

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L'inferno non è di certo come ce lo immaginiamo.

Non ho idea se un inferno dopo la morte o un paradiso esistano veramente, so solo che adesso, in questo preciso momento mi trovo nel mio inferno personale.

Non ci sono fiamme o punizioni che si susseguono lungo il giorno...

È molto peggio.

Sono nel buio più totale per non so quante ore al giorno, non ho idea dei giorni che passano, di che ore siano o che tempo faccia fuori da queste quattro vecchie mura. L'aria è rarefatta e la polvere mi sta entrando fin dentro le ossa.

Odio tutto questo ed odio loro, sono sola con i miei unici pensieri a farmi compagnia; questa forse è la cosa peggiore.

L'ansia mi divora ad ogni rumore che sento.

Ad ogni percossa il mio corpo viene spinto al limite ed ogni volta penso che non riuscirò più ad aprire gli occhi; invece sono ancora qui.

Più rotta di prima, più dolorante che mai.

Un diavolo c'è, esiste eccome. Derek è il male in persona.

Sono tutta dolorante e da mangiare mi portano scarti.

Il mio corpo brucia ad ogni movimento e faccio perfino fatica a muovermi.
Passo da attimi di coscienza e lucidità ad attimi di completa oscurità, è assurdo.

Ogni tanto si accendono le luci e diversi individui che non conosco piombano qui, coloro che mi picchiano?
Probabile, dipende dalle ore del giorno e da come si sente il diavolo. Da cosa ha voglia di fare o di vedere.

All'inizio mi dimenavo, cercavo di difendermi alla ben meglio poi ho smesso. Peggiorava solo la situazione.
Ora sono solo uno straccio che spesso viene buttato da una parte all'altra.

A volte entrano sempre gli stessi, a volte entra Derek, altre non riesco nemmeno a vederli.
Probabilmente mi drogano anche visto che non riesco a tenere gli occhi aperti per più di qualche minuto.

Sono violacea ovunque, ho paura. Il mio bambino non deve soffrire, qualsiasi cosa succeda lui deve essere salvato.

Vorrei solo vedere entrare Travis da li e non sempre le solite facce orrende...
Ma non succede mai, lui non arriva.

Spero di uscirne.
Mangio, soffro e dormo. Le uniche tre cose che mi sono permesse di fare.

Improvvisamente persa nei miei pensieri sento la porta che si apre, al buio, niente luce, solo lo scricchiolio leggero della porta di ferro.

Di solito viene sbattuta e le luci vengono accese, come se fossi un animale da circo.
Credo che ci siano addirittura delle telecamere, il diavolo è al cinema il giorno, mi fa schifo.

Forse questo è l'ultimo giorno della mia vita?

Qualcuno si avvicina a me cercando i miei polsi, ormai li ho capiti, ho capito la loro prassi.

Glieli porgo direttamente, ormai non ho più le forze per oppormi.

Delicatamente scioglie i nodi del filo e li lascia a terra dicendomi
«Cerca di non fare rumore, sono le tre di notte, ora ti porto fuori di qui, riesci a camminare?»
Non riesco credere alle mie orecchie, la voce mi è vagamente familiare.

Che diavolo ci fa Jacob qui?
Si..il ragazzo che avevo incontrato fuori da scuola con il quale mi sono sfogata, proprio lui, come faccio a dimenticarlo.

Mi porge la mano e gliela stringo.
Tento di alzarmi ma solo grazie al suo aiuto ci riesco, la testa mi pulsa tremendamente e il mio corpo trema come una foglia.
«Cosa ci fai tu qui?»

«Non è importante adesso,vieni, c'è anche Trenton dietro a tutto questo»

Per poco non svengo, Trenton immischiato in questa storia? Il Trent che conoscevo io non l'avrebbe mai fatto. O forse sì?
«Io..non capisco»

«Gli Heil l'hanno convinto, oltre la paga alta c'è altro sotto, non so bene cosa»
Piano piano arriviamo davanti alla sala controllo della sicurezza.
E lo vedo. Lì, addormentato sulla sedia davanti al computer con la videocamera che controlla la sala dove stavo...

I brividi mi percorrono la schiena, mi sento mancare la terra sotto i piedi, impossibile.
Gli Heil lo avranno manipolato alla grande, lui non è quel tipo di persona cazzo. È sempre stato uno stronzo ma non fino a questo punto...

L'ho mai conosciuto davvero?

Ora capisco come mai uno sconosciuto aveva voglia di parlare con me. Lui sapeva tutto. Jacob era stato mandato li per un motivo ben preciso. E allora perché mi sta aiutando?

Continuiamo a camminare fino all'uscita e mi fa salire sulla sua auto. Espiro l'aria a pieni polmoni, aria pulita.

Sono fuori,sono libera.
Appena accende la macchina tutto l'edificio parte con un allarme.
«Allora adesso dobbiamo scappare, poi chiameremo Travis, reggiti forte»

Non conosco questo edificio e non l'ho mai visto, ma ne sono sicura?
Non ci capisco niente, sta succedendo tutto troppo velocemente.

«Sono incinta»
Perché gliel'ho detto?

«Che cosa?» possibile che reagiscono tutti così?
Urla mentre ingrana la retromarcia e fa manovra.

Devo averlo sconvolto, forse.

Vedo un grande cancello di ferro elettrico che si sta chiudendo di fronte a noi. Capisco le sue intenzioni e mi reggo ancora più forte chiudendo gli occhi.

«Sono incinta, devo ripeterlo?» urlo mentre accelera per riuscire a passare nell'ultima parte rimasta aperta del cancello.

«Bene, siamo fuori»
Anche lui mi risponde urlando per poi tornare a parlare normalmente. Forse questa cosa è del tutto surreale anche per lui in fondo.
«Ho una mia amica dottoressa, passeremo da lei per vedere che sia tutto apposto, ecco perché Travis ha dato così di matto cazzo»

Si è preoccupato per me.
Mi accarezzo la pancia, come se non lo facessi mai, tanto per precisare. Ha parlato con Travis, dove è lui adesso?

La mamma è qui con te, non lasciarmi.

Dopo qualche minuto noto dei fari di una macchina fin troppo vicina a noi, sospetto. «Ci seguono» dico con un filo di voce.

Tornerò li dentro e sarà peggio di prima. Più cattivi che mai.

«Ora lo seminiamo, reggiti»
Ingrana marce ancora più alte e si destreggia sicuro tra strade strette e svolte strane.

Non so perché ma mi fido di lui, stranamente.

Scorrazza per un po', seminando la macchina che avevamo dietro entrando in un comprensorio di parecchi palazzi, sembrano delle nuove costruzioni.

Per sbaglio mi guardo nello specchietto del parasole e lo spettacolo non è per niente piacevole.

Ho i capelli tutti arruffati e mal messi, mi passo la mano sul labbro spezzato al centro da un taglio profondo.

Il viso non è messo tanto male, qualche livido qua e lá.
I polsi sono veramente molto scuri e mi fanno malissimo, in realtà non capisco cosa non mi faccia male...

Entriamo in un garage, spenge la macchina e mi aiuta a scendere, mi sento piuttosto male.

Copre la macchina con un telo e mi porge la mano, io tentenno.
«Vieni, ti ho fatto uscire da lì, ti puoi fidare di me»
Fidare di te? Il fatto che tu sia stato lì dentro è già un punto a tuo sfavore caro.
Un altro punto è che non so da quanto tempo io sia stata dentro a quella camera, una domanda mi sorge spontanea, perché solo adesso?

«Cosa ci facevi dentro quel posto orribile?»

«Possiamo parlarne dopo? Adesso vieni con me, la mia amica è di sopra» Sbuffo ma non ho neanche la forza di impormi.

«Okay ma voglio sapere tutta la storia»

«Giuro» dice baciandosi le dita come i bambini.

Mi esce un sorriso, sono fuori.
Sono fuori dall'inferno e mi ritengo fortunata.

La vita è un dono e perdonami amore di mamma se
ho pensato anche solo per un secondo che non volessi più vivere.

Un ritorno inaspettatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora