Ecco una nuova storia che racconterò contemporaneamente alla raccolta "Oscuro incanto". Qui proporrò un fantasy un po' diverso dal solito, premettendo che l'introduzione non sarà breve e che ci vorrà un po' prima di entrare nel vivo dell'azione. Spero che questo mio "esperimento" possa funzionare.
Fra
La guerra era giunta ancora e con una potenza inarrestabile si era portata via tutti i miei sogni, le mie speranze. Eppure ci avevo creduto a lungo, nel periodo passato a pianificare maniacalmente il mio futuro, ma qualcuno era contrario alla buona riuscita del progetto.
Certo, credevo che queste cose accadessero solo negli incubi, quelli che in tenera età avevano raramente disturbato il mio sonno e che ora rappresentavano la normalità e non più l'eccezione. Erano trascorsi solo una ventina d'anni e nelle menti di chi l'aveva vissuto sulla propria pelle, il devastante ricordo del primo conflitto mondiale non sarebbe mai svanito.
Chi avrebbe mai potuto immaginare che ne sarebbe giunto uno peggiore e che ancora una volta tutti i paesi del globo sarebbero stati costretti a farne parte? Probabilmente la maggior parte degli esseri umani avrebbe voluto evitarlo, ma era impossibile scappare, la guerra ti avrebbe trovato in ogni anfratto, ogni buco o nascondiglio.
Nessun luogo sembrava sicuro.
Nei libri di storia si sarebbero lette numerose e dettagliate spiegazioni sullo scoppio del secondo conflitto mondiale, ma il vero motivo era più semplice di quanto si potesse immaginare.
La malvagità e la bramosia di potere dell'uomo, un male che nemmeno un miracolo potrebbe lenire.
E io cosa c'entravo in tutto questo? Ero solo un ragazzo come gli altri, con la passione per la pittura. Forse non sarei diventato famoso in tutto il mondo per i miei dipinti ma, qualunque successo mi avesse riservato il destino, non importava ai potenti.
La storia che stò per raccontarvi comincia in un luogo che aveva tutto l'aspetto di quello che alcune religioni definiscono come Inferno e, credetemi, per lungo tempo ho davvero creduto di trovarmici dentro. Era autunno, ma l'aria non era fredda e la mia pelle non tremava; al contrario, provavo un caldo asfissiante, fastidioso, che rendeva difficoltosa la respirazione costringendomi a boccheggiare, come se l'ossigeno attorno a me fosse esaurito.
Uno strano fumo appestava l'aria, limitando la visibilità. Il cielo era scuro, plumbeo, pronto a scatenare tutta la sua furia. E come poteva essere altrimenti? Non poteva esserci serenità laddove si era consumato una scena di uno dei film dell'orrore indelebili nell'umana memoria, in un luogo teatro di un annientamento totale, dove gli attori erano caduti uno dopo l'altro.
Guardandosi attorno, non si poteva scorgere nulla di ciò che era stato eretto in tempo di pace e, dopo aver inghiottito ogni cosa, la battaglia si era spostata lontana dalla civiltà, cercando altri posti da devastare. Ancora oggi non ricordo come ci fossimo arrivati, quali circostanze ci avessero portato laggiù, ma il tetro spettacolo a cui fui costretto mio malgrado ad assistere modificò ogni mia percezione dell'essenza umana.
Un'accozzaglia di mezzi corazzati distrutti circondava l'area, a testimoniare che nessun'arma ancora inventata dall'uomo fosse in grado di sopportare un bombardamento. Eppure, questo distruggersi a vicenda aveva spazzato via tutto, al punto da portare a pensare che solo la mente malata dell'essere umano potesse concepire la creazione di simili mostri.
All'interno di un cerchio di metallo si stagliavano cumuli disomogenei di corpi senza vita, ammassati uno sopra l'altro. Non si conosceva ancora il numero preciso di morti, ma le vittime tra i soldati erano talmente elevate da rendere esigue la possibilità che qualcuno si fosse salvato. Nell'arco di chilometri e chilometri non c'era sicuramente più vita, o quasi.
Già, perché in mezzo a quei cumuli di corpi, c'ero io. Ero ancora vivo, se così si poteva dire, anche se la vita era un concetto piuttosto astratto in quel momento. Mi trovavo sdraiato sopra il corpo di un nemico che probabilmente avevo freddato io stesso. A fatica riaprii gli occhi e alzai lo sguardo. Quando la mia vista mise a fuoco ciò avevo di fronte, desiderai averli ancora chiusi.
Fortunatamente le pessime condizioni in cui mi trovavo e quella specie di doposbornia causato dal combattimento mi fecero impiegare più tempo del previsto per realizzare il tutto. Cercai di rialzarmi e con un immane sforzo ci riuscii, dopo aver rischiato più volte di tornare a fare compagnia alla terra. La gamba destra mi faceva un male cane, essendo rimasto a terra per chissà quanto tempo con il peso di un soldato morto sul ginocchio, ma come si spiegava il dolore alla spalla sinistra?
Feci mente locale e ricordai il momento in cui uno dei nemici aveva preso la mira e mi aveva sparato, colpendomi di striscio. In quel momento mi convinsi che la mia vita sarebbe cessata pochi istanti dopo, ma in realtà ero semplicemente svenuto.
Non che la cosa fosse del tutto positiva, in quanto mi trovavo in condizioni fisiche che definire pietose era un eufemismo e se non mi fossi ripreso al più presto sarei certamente tornato a fare parte del macabro mucchio di cadaveri dal quale mi ero separato.
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Sullo scalino nascosto nella notte
FantasyIl soldato Tàmas, di ritorno dalla guerra, si imbatte nella giovane Anita, la quale si nasconde ogni notte su una scalinata di una casa apparentemente abbandonata. Tàmas decide di prendersi cura di lei, fino al momento in cui inizia a rendersi cont...