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Una volta dentro ebbi modo stupirmi una volta di più per ordine e il gusto estetico con il quale il locale era stato allestito. Scaffali con scatole di cibo sistemate con cura e precisione, una pulizia fuori dal comune e oggetti intagliati nel legno a decorare le pareti. Dietro il bancone, intento a pulire con uno straccio, c'era un anziano uomo, forse il proprietario.

"Tra un secondo sono da lei." annunciò l'anziano, senza staccare lo sguardo dallo straccio che seguitava a muoversi compositamente. Lo osservai con attenzione, notando la maglia bianca e pulita, il grembiule stretto alla vita e i lunghi capelli bianchi avvolti da una bandana blu a pois bianchi. Doveva avere più di settant'anni, molto magro e uno sguardo serio e attento al proprio lavoro.

"Desidera?" disse alzando finalmente lo sguardo verso di me.

"Ecco..." esordii timidamente, togliendomi il cappello. "Ho notato l'annuncio sulla vetrina. So che cerca un aiutante."

L'anziano lasciò andare lo straccio e appoggiò le mani sul bancone, prendendo a fissarmi senza parlare. Il suo modo di guardarmi era oltremodo inquietante, ma rimasi fermo in piedi, sicuro di ricevere una risposta negativa. Poi, riprese lo strofinaccio e riprese a pulire, come se nulla fosse successo. Non riuscivo davvero a capire.

"Sai." disse, dandomi del tu. "Sei la prima persona che si presenta qui per ottenere il lavoro e non avrei alcun problema a dartelo, ma..."

"Ma...?".

"Vedi, ci sono molte cose che non tollero e la guerra è una di queste e con essa qualunque cosa mi ricordi l'orrore che ci ha colpito, distruggendo ogni cosa." poi mi guardò. "Come i soldati che l'hanno combattuta."

Rimasi di sasso e lui se ne accorse. Sembrava avesse voluto capire dalla mia espressione se aveva ragione.

"Sei un soldato, vero?" mi domandò.

Non potevo mentire. Non faceva parte di me la menzogna. "Sono un soldato. Posso ben capire il suo disprezzo e non ho molto da dire a mia difesa, se non che non ho scelto io di combattere questa guerra, ma mi hanno strappato dalla mia vita con la forza e ora ho perso tutto, i miei genitori, gli amici, la mia casa..." biascicai trattenendo a stento le lacrime. "Non l'ho voluta io questa guerra."

L'uomo riprese a studiarmi, senza battere ciglio. Davvero non riuscivo a capire dove volesse arrivare con il suo atteggiamento, ma l'interrogatorio continuò.

"Quanti anni hai, ragazzo?" volle sapere.

"Ventidue."

"E dici che hai perso tutto."

Annuii. "Ho passato l'ultima notte a dormire all'aperto. Ho bisogno di trovare un lavoro e ripartire con la mia vita. Ho buona volontà, posso adattarmi a tutto."

L'anziano rifletté sulle mie parole. Pareva impenetrabile, di ghiaccio. Forse era un reduce della prima guerra mondiale, ma non volli chiederlo. Poi, abbandonò la propria postazione e si parò davanti al bancone, a pochi centimetri da me, senza smettere di fissarmi. Dopodiché appoggiò i gomiti sul bancone e parve rilassarsi e, non ne ero certo, mi parve di aver visto un sorriso sul suo volto.

"La mia bottega rifornisce l'intero quartiere, in quanto sono l'unico panettieri rimasto nella zona. Di conseguenza ho un sacco di lavoro e, come puoi immaginare, un uomo della mia età non può farcela da solo. Quindi mi serve qualcuno che mi aiuti a produrre il pane e a distribuirlo. Il lavoro grosso quindi è alla mattina, mentre il pomeriggio posso cavarmela tranquillamente da solo."

"Ho lavorato nella panetteria di mio padre per anni, ma non sono capace di fare il pane purtroppo."

"Hai detto che ti adatti a tutto." ribatté lui. "Ti insegnerò quello che c'è da sapere su questo mestiere e se vedrò che te la cavi ti assumerò definitivamente. Che ne pensi?".

Sorrisi. "Sarebbe fantastico".

"Dovrai alzarti prestissimo la mattina, lo sai?".

"Non è un problema." lo rassicurai. "Ho lavorato un anno intero nei campi."

"Comunque sia" tagliò corto. "Inizialmente non potrò darti uno stipendio alto. Con la guerra e tutto il resto le vendite sono diminuite, come puoi immaginare."

"Non è un problema."

"Ma se mi dimostrerai di essere in grado di svolgere questo lavoro la paga aumenterà. Dipende da te."

"Sta dicendo che posso avere il lavoro?" domandai, incredulo.

"Certo. A proposito, come ti chiami?".

"Tamàs." dissi, porgendogli la mano, che accettò.

"Sàndor." si presentò finalmente.

Dopodiché calò il silenzio e la mia felicità era alle stelle. Ancora non riuscivo a crederci.

"Per quanto riguarda vitto e alloggio, quelli te li offro io, almeno fino a quando non avrai trovato una sistemazione adeguata."

"Non vorrei arrecare troppo disturbo."

"Sciocchezze. Non mi sentirei con la coscienza a posto sapendoti a dormire in mezzo alla strada! Vieni con me, tra poco chiudo la bottega."

Timidamente seguii Sàndor, il quale mi condusse nel retro del negozio, dove si trovava un piccolo locale. Accese la luce e mi trovai di fronte un letto, una piccola scrivania e un armadio beige, il tutto in un ambiente molto ordinato.

"Puoi restare qui tutto il tempo che vuoi." mi rassicurò. "Non ti farò alcuna pressione per andartene."

"Io... non so che dire."

"Non devi dire nulla. Nell'armadio ci sono alcuni vestiti. Prendi quelli che preferisci. A destra della porta c'è il bagno, dove puoi darti una rinfrescata."

"Io non so davvero come ringraziarla."

"Pensa a riposarti, che tra sette ore iniziamo a lavorare. Ti porto qualcosa da mangiare, sarai affamato."

"Non ne ha idea."

Mi guardò qualche istante, poi abbozzò quello che nelle sue intenzioni doveva somigliare a un sorriso, poi se ne andò. Rimasi solo in quella stanza, passando diversi istanti in piedi con lo sguardo perso nel vuoto, dopodiché posai il mio zaino a terra e mi sedetti sul letto, ancora incredulo per aver trovato un lavoro e un alloggio. 

Subito la mia insicurezza venne a farmi compagnia, inculcandomi la paura di essere cacciato, in quanto incapace di svolgere le mansioni che mi sarebbero state richieste. Ricacciai indietro quei pensieri ingiungendomi di essere forte; potevo farcela. Era incredibile quanta bontà vi fosse ancora nell'animo umano e quello strano vecchietto, la controfigura maschile di Anastasia, ne era la prova.

Chissà se aveva una famiglia ad aspettarlo a casa, dal momento che lavorava praticamente tutto il giorno. Come faceva alla sua età? Aveva più di settant'anni, forse vicino agli ottanta, ma dimostrava una vitalità senza pari. Poco dopo entrò in camera portandomi qualcosa da mangiare, cioè qualche sandwich e una caraffa d'acqua. Eppure non si fermò, ma se ne andò a casa. Anche se nelle intenzioni poteva apparire burbero e poco propenso al dialogo, era un uomo di buon cuore. Quanto a me, mi sentivo sereno, nonostante il ricordo della morte dei miei genitori fosse sempre vivo.

La mia vita sarebbe ripartita. Lentamente, ma sarebbe ripartita.

Sullo scalino nascosto nella notteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora