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Poi, vidi un edificio che poteva stonare se paragonato agli altri. Non era colorito, dalle strane forme o appariscenti, ma balzava all'occhio per il suo marrone smunto, opaco. Lo indicai, sospettando di che si trattasse.

"Quella è..."

"Una prigione." disse Anita, confermando i miei sospetti.

"Credevo foste tutti buoni."

"Esiste qualcuno di veramente perfetto, senza difetti? Un crimine può essere un episodio isolato, il primo di una lunga serie e come tale deve essere punito."

"Che genere di crimini?".

"Furto, lesioni..."

"Crimini monetari, ubriachezza molesta."

"Spiacente di smentirti."  asserì lei. "Da noi non esiste l'alcool. E nemmeno la moneta. Viviamo secondo il baratto."

"Mmm." pensai. "Forse non siamo così indietro."

"Pensi che il denaro sia una cosa positiva?"

Riflettei, ma la risposta la conoscevo già. "No, ovviamente."

"E poi c'è il maggiore dei crimini. L'omicidio. Solo che prima di lui erano solo episodi rari, sporadici."

"E per quali motivi?".

"L'amore o quello che si voleva far passare come tale. L'invidia, i litigi."

"Da un certo punto di vista mi consola la cosa."

"Cioè?".

"L'imperfezione."

Mi ignorò, forse pensando che la stessi prendendo in giro. Per sviare il discorso mi indicò un altro palazzo, non troppo distante dal carcere, dal quale si distingueva per la magnificenza e il grigio scuro, che gli attribuiva una sorta di solennità. "Quello è il nostro tribunale."

"Suppongo che i giudici non siano squali" commentai, lanciandole una frecciata. Lei scoppio a ridere.

"Scusami."

"Avresti potuto dirmelo."

"No, altrimenti non sarebbe stato divertente. Credimi, avrei voluto vedere la tua faccia."

"Beh, non è stato divertente."  replicai infastidito, il ché non era dovuto a quella specie di scherzo, ma piuttosto a ciò che aveva detto lo squalo, riguardo al fatto che Lei avesse deciso di farmi passare per l'unico portale in cui avrei tra l'altro dovuto affrontare una dura prova perché non si fidava di me. Anita, ridendo e scherzando, non sapeva fossi a conoscenza dei suo intenti. Eppure non dissi nulla, anche perché la questione venne dissolta da ciò che accadde poco dopo.

Una donna che secondo la nostra accezione poteva avere all'incirca sessant'anni ci passò sopra e, adocchiandoci, rallentò e scese dietro di noi, senza smettere di guardarci. Poi, iniziò a seguirci e nel momento in cui me ne accorsi, misi Anita in allarme.

"Muoviamoci." le dissi.

Allungammo il passo e la donna continuò a seguirci. Il suo volto manifestava sentimenti contrastanti, tra cui curiosità e sorpresa, ma non pericolosità. Difatti, ella si fermò. "Maestà, siete voi?".

La voce della donna entrò nel cuore di Anita la quale, nonostante mi avesse messo al corrente dei pericoli che correva, si fermò. Io rimasi di sasso. "Che fai, andiamocene!".

"Siete tornata allora..." commentò la donna, con la voce che quasi le morì in gola per l'emozione.

A quel punto Anita gettò la maschera. Socchiuse gli occhi, si levò il cappuccio e si voltò verso la donna. Ritenevo fosse stupido rischiare così, ma lei aveva fatto la sua scelta. Era tornata a casa per quello in fondo.

"Si, sono qui..." affermò con voce flebile Anita.

Ora, non so se la donna avesse dei poteri psichici e avesse comunicato mentalmente la notizia a tutti gli abitanti, ma in pochi istanti orde e orde di esseri alati si riversarono su di noi, levando urla e schiamazzi. Si fermarono di fronte ad Anita, la quale si tolse il costume e dispiegò le ali, gesto che suscitò clamore. A quel punto tutti si prostrarono, in segno di rispetto e lei, per ringraziarli, fece un inchino. Nessuno era arrabbiato, anzi, poco dopo levarono grida di gioia per il ritorno della principessa.

"C'è ancora speranza!"  urlò qualcuno tra la folla, facendomi intuire, nonostante l'assoluta banalità di quella frase, quanto contasse Anita per il popolo e quanto la sua presenza potesse risollevare gli animi. C'era chi piangeva, chi la toccava, sempre con rispetto e senza troppa invasività. Anita invece sorrideva, toccava a sua volta, rispondeva, rasserenava. Provai un moto di orgoglio, ricordando però che lei non era la mia sorellina, ma la sovrana di un regno fantastico del quale io non facevo parte. Mi feci da parte, lasciandola al suo momento di gloria e ai festeggiamenti.

Ma tutta quella gioia venne interrotta da quello che sembrava un vero e proprio sciame di creature che giungevano verso di noi. Eppure quando la gente accalcata su Anita li vide, tutti si fecero da parte rispettosamente, per nulla spaventati. Scesero circa una decina di "fate", tutti maschi, che indossavano strani vestiti, simili ad armature. Avevano delle grosse cinture, sulla quali portavano fodere nere, che contenevano pesanti spade. Una sorta di cavalieri, senza cavallo però. La folla creò un varco per farli passare, ergendosi a mura sicura tra le quali i misteriosi personaggi poterono passare.

Tre di loro si pararono di fronte ad Anita e, una volta salutatola con un inchino rispettoso, si fecero da parte, mostrando la presenza di un giovane, che avrebbe potuto avere all'incirca la mia età. Un vero e proprio belloccio, con i capelli castani, gli occhi azzurri e due enormi ali blu. Fece qualche passo e si fermò di fronte ad Anita, la quale lo guardò incredulo.

"Cugino mio... sei tu." esclamo lei, correndogli incontro e cingendolo con un forte abbraccio. "Allora sei vivo."

"Si, cugina." confermò lui, ricambiando l'abbraccio. Poi si scostò e la guardò dritto negli occhi. "Sono vivo. Ti aspettavamo tutti."

Sullo scalino nascosto nella notteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora