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I miei timori si manifestarono presto, lasciandomi intendere che non si trattasse di semplice suggestione. La porticina, che credevo fosse chiusa a chiave, si aprì con una lentezza che sembrava studiata alla perfezione, accompagnata da un inquietante e fastidioso scricchiolio. Poi, chiunque stesse aprendo la porta si fermò qualche istante, solo per riprendere pochi secondi dopo, quasi stesse giocando con me.

Io d'altra parte non riuscivo a muovere un muscolo, paralizzato dalla paura. Potei a malapena spostarmi leggermente verso la porta di ingresso, restando seduto sul basamento del pianerottolo. Non avevo mai voluto attribuirvi troppo peso, ma ora ne avevo la certezza assoluta; c'era qualcosa di strano in quel luogo che magicamente sembrava attirarmi a sé. Qualcosa o qualcuno stava uscendo allo scoperto e nella mia mente numerose ipotesi si ammucchiarono, dalle più assurde alle più tenebrose.

La porticina alla fine si spalancò e rimasi pronto a ogni evenienza, dato che le mie gambe si rifiutavano di obbedire e consentirmi la fuga. Sulle prime non vidi che un'ombra, illuminata dalla fioca luce lunare filtrante dalla solita finestrella. Quella sagoma si avvicinò a me, nel poco spazio in cui si stanziava il pianerottolo e quando si innalzò capii che si trattava di una figura antropomorfa.

Quando i miei occhi misero a fuoco l'immagine che avevo di fronte.rimasi di sasso, non immaginando assolutamente un incontro simile. Si trattava di una bambina; o farei meglio a dire una ragazzina.

Rimase in piedi a fissarmi, senza parlare. Feci lo stesso ma restando seduto, incuriosito. Eppure lei seguitava a restare in silenzio, visibilmente spaventata. Approfittai di quegli istanti di silenzio per osservarla, per quanto la scarsa illuminazione mi impedisse l'ottimale visuale. Doveva avere all'incirca dieci, undici anni e aveva i capelli castani non troppo lunghi, fino al collo, tagliati a caschetto e indossava una strana giacchetta verde scura, stropicciata e sporca, talmente lunga da nascondere i pantaloni marroncini. Ai piedi indossava due scarpette nere, probabilmente l'unica cosa di valore che le restava. Poi guardai il suo viso. Sembrava una bambola, con quegli occhi chiari e grandi e un viso dolce e molto espressivo, che lasciava trasparire però molta tristezza.

"Ciao." le dissi, cercando di utilizzare un tono di voce il più possibile rassicurante. Non rispose subito, evidentemente stranita dalla situazione.

"Ciao..."

"Non avere paura." assicurai, nonostante pochi istanti prima fossi io a essere terrorizzato. La ragazzina di tutta risposta fece un passo indietro. Restò diversi istanti in piedi a fissarmi e la cosa mi imbarazzò non poco. Com'era prevedibile fui io a perdere la gara di sguardi, abbassando gli occhi verso le mie ginocchia. Lei se ne accorse e poco dopo si mosse sedendosi davanti a me, sul primo gradino della scalinata. Certo, poteva sembrare un gesto da scocciatore, ma decisi di imitarla e mi alzai per poi sedermi di fianco a lei, rispettando però il suo silenzio.

Rimanemmo così diversi istanti, con la misteriosa ragazzina che raccoglieva le ginocchia tra le braccia, persa tra chissà quali pensieri; e dal momento che l'avevo trovata nascosta dentro uno sgabuzzino tanto solari non dovevano essere. Non credo fosse prigioniera, dal momento che poteva uscire a suo piacimento, ma gli interrogativi nella mia mente erano parecchi.

"Io mi chiamo Tàmas. Tu come ti chiami?" volli sapere. Lei si girò e mi guardò stranita, quasi le avessi chiesto qualcosa di troppo intimo, ma alla fine scelse di rispondere.

"Anita."

"Vivi qui?" le domandai, conscio della stupidità di una eventuale domanda come "vivi nel ripostiglio?".

"Non ho una casa."

"Stai dicendo che ti nascondi là dentro perché non hai un posto in cui stare."

La ragazzina annuì. "Da qualche settimana."

"Per quale motivo? Non hai una famiglia?" domandai, non importandomi il fatto di mostrarmo troppo invasivo.

"E' morta nella guerra. Ora sono rimasta sola."

La tristezza e la disperazione con la quale pronunciò le quelle parole rischiò di spezzarmi il cuore. "Ti capisco. I miei genitori sono morti qui a Budapest e ho perso il mio migliore amico sul campo di battaglia."

Anita girò nuovamente il capo verso di me, mostrando uno sguardo di sincera compassione. "Davvero?"."

"Già."

"Mi dispiace molto."

"E' tutto a posto." le assicurai sorridendo. Nonostante fosse un argomento non troppo felice, avevamo trovato un punto in comune e, pur non sapendone il motivo, ero interessato a sapere di più su quella ragazzina che pareva venuta dal nulla. Restammo nuovamente in silenzio. Era chiaro che Anita non aveva molta voglia di parlare e non volevo certo risultare uno scocciatore. Tuttavia sentivo che nel suo animo v'era molta sofferenza e solitudine, per cui non ebbi remore a offrirle il mio aiuto.

"Vuoi venire a casa mia?" le domandai. "Lo so, sono uno sconosciuto e per quanto ne sai potrei essere un malintenzionato e ti capirei nel caso tu non ti fidassi. Ma non mi sentirei a posto con la coscienza a lasciarti qui tutto sola."

Mi scrutò con quei suoi occhioni, regalandomi il più dolce dei sorrisi. "Sei molto gentile. Penso di potermi fidare di te, ma mi sentirei in imbarazzo ad accettare..."

"Non preoccuparti. La mia casa è grande e ho una stanza per gli ospiti inutilizzata.

"Non saprei... io..."

"Ascolta, non voglio che tu ti senta obbligata. Ma se vuoi venire con me, sei ben accetta. Puoi restare per tutto il tempo che vuoi."

"Sei molto gentile, davvero. Va bene, verrò con te."

Sorrisi, felice di poter dare un'opportunità a quella povera ragazza della quale non sapevo quasi nulla. Tuttavia non volevo assilarla con le mie domande e se per caso avesse voluto parlare, si sarebbe sciolta, sembre che non avesse deciso di andarsene per la sua strada prima del tempo. Ci alzammo e scendemmo le scale, ancora una volta incurante del fatto che i proprietari di quella casa potessero vederci.

"Anita, per caso hai visto chi abita in quella casa?" le domandai.

"No." disse alzando leggermente le spalle. "Sono uscita da lì solo per cercare qualcosa da mangiare, ma non ho visto nessuno."

Annuii, non dando peso alla sua risposta. Ci allontanammo dalla casa ma, come potete immaginare, vi saremmo tornati. Molto presto.

Sullo scalino nascosto nella notteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora