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Con il passare del tempo le mie ferite iniziarono a guarire e non solo quelle del corpo, ma anche dello spirito, i cui profondi squarci parevano essersi ricuciti. Il marito dell'anziana donna che mi aveva dato ospitalità era una sorta di medico del paese e, nonostante non parlasse molto, dedicò anima e corpo per curarmi, utilizzando unguenti e altre sostanze che, nonostante il bruciore insopportabile, sortirono i loro effetti e dopo sole due settimane iniziai sensibilmente a migliorare.

Mi sentivo come nuovo, pieno di forze. In realtà la simpatica vecchietta desiderava che restassi a letto, convinta che avessi bisogno di riposo, ma io le dissi che stavo alla grande e che volevo sdebitarmi per tutto l'aiuto che mi stavano dando. E fu così che iniziai a conoscere le gioie e la fatica del lavorare la terra, del portare al pascolo il bestiame sulle piccole e verdi colline dietro il villaggio. Era molto faticoso, in quanto non avevo mai lavorato così duramente, eppure mi sentivo felice.

In quei dodici mesi imparai molte cose, a lavorare i campi, a strigliare i cavalli e, cosa più importante, appresi la loro lingua, cosicché finalmente potemmo iniziare a comunicare verbalmente e non solo a gesti come eravamo abituati. E iniziammo così a conoscerci meglio, con la vecchina che mi raccontò di sé e di come aveva conosciuto suo marito, mentre io narrai loro della mia passione per la pittura e loro, sorprendendomi, mi fecero trovare nella mia stanza tutto l'occorrente necessario per dipingere.

Grande fu la mia gioia quando mi fecero questo stupendo regalo.

La sera, dopo il lavoro, presi l'abitudine di dipingere almeno un'ora, se non ero troppo stanco. La simpatica vecchina, che mi disse di chiamarsi Anastasia, veniva spesso a vedermi dipingere e rimase molto colpita dal mio lavoro, chiedendomi il permesso di poter appendere alle pareti della sua abitazione tutti i miei dipinti. E io, ovviamente, non potei che essere felice di acconsentire. Un giorno chiesi a lei e al marito di posare per me e Anastasia, preso in mano il ritratto, dovette trattenere le lacrime per la commozione e lo stesso feci anch'io. Mi avevano trattato come un figlio, quello che, nonostante i numerosi tentativi, non avevano mai avuto.

Tutto ciò però mi portò alla mente la realtà. Due genitori li avevo e attendevano con ansia il mio ritorno. Nonostante avessi trovato una vera e propria casa in quel magico luogo, sapevo di dover tornare a Budapest. Era passato moltissimo tempo senza che papà e mamma avessero mie notizie e con tutta probabilità mi credevano morto; non potevo lasciarli con questo timore. Vedendomi si sarebbero finalmente rasserenati.

Poi avrei dovuto fare la cosa più difficile; andare dai genitori di Ferenc e raccontare di come fosse deceduto da eroe nel campo di battaglia. Non sapevo se di fronte a loro avrei avuto il coraggio di parlare, ma prima o poi avrebbero dovuto sapere la verità. Già, Ferenc. Era passato molto tempo, ma mi mancava ancora moltissimo. Mi mancava come i miei genitori che non vedevo da anni.

Quando diedi ad Anastasia e al marito la notizia della mia imminente partenza, come prevedibile li gettai nello sconforto, ma compresero i motivi della mia scelta. Prima di andarmene, feci loro una promessa. Un giorno sarei tornato e forse avrei portato anche i miei genitori e chissà, magari ci saremmo trasferiti lì.

Tuttavia, ciò non avvenne mai. Non mi trovavo in una delle fiabe che mia madre era solita a leggermi per farmi addormentare, in cui il ragazzino protagonista faceva ritorno nel luogo incantato. Eppure, credetemi, avrei voluto davvero tenere fede alla mia promessa. Avevo passato uno dei migliori anni della mia vita, uno spiraglio di luce dopo anni di sanguinose battaglie, arterie di una guerra che non sapevo se fosse finita o meno.

Alla fine, mi misi in viaggio.

Prima della mia partenza mi fornirono una mappa, per orientarmi e trovare la strada per Budapest, poi mi diedero del cibo, dell'acqua e un lungo e triste abbraccio. L'addio fu davvero straziante. Tutti gli abitanti del villaggio vennero per salutarmi, tutti apparentemente tristi per la mia partenza. Mi domandai cosa li avesse spinti ad accogliermi così calorosamente e quale fosse il nome di quello strano e magnifico villaggio.

Cercai di scoprilo ma non lo seppi mai. Forse era proprio quello il motivo per il quale la guerra non lo aveva trovato. Voleva restare in pace, tranquillo, lontano dalla morte e l'orrore. Dopo l'ultimo saluto, mi voltai per l'ultima volta e iniziai il lungo viaggio verso casa. Fortunatamente, grazie alla mappa fornitami dagli abitanti del villaggio, non mi persi e in cinque giorni circa di cammino quasi ininterrotto, condito da alcune pause per dormire, arrivai a Budapest e, con grande sorpresa, appresi la notizia che la seconda guerra mondiale era finita.

Era il 30 novembre 1945.

Sullo scalino nascosto nella notteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora