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Giunse Marzo, ponendo fine a un lungo inverno pieno di soddisfazioni e sensazioni che non provavo da tempo, diverse certamente da quelle provate nel magico villaggio di Anastasia, ma lì sentivo la mancanza di qualcosa; qui invece mi sentivo a casa. La guerra sembrava alle spalle anche se i sovietici sembravano tutt'altro che tranquilli e di lì a non molto tempo dopo avrebbero dato vita a un vero proprio equilibrio del terrore con l'arcinemico USA. La mia gente non aveva più quel pallido terrore sul volto e qualche sorriso sembrava riaffiorare. Significava che ci stavamo lentamente risollevando? Forse era presto, ma mi piaceva pensarla così.

Anche il negozio, che già andava a gonfie vele, ebbe un netto incremento di affari, soprattutto nel pomeriggio, momento della giornata in cui la bottega era solitamente vuota. Il buon Sàndor mi attribuì esageratamente ogni merito ma io voglio ancora una volta ridimensionare le mie capacità, altrimenti potrei essere preso per una persona arrogante che ama lodarsi e non ammettere i tanti, troppi difetti caratteriali.

Tornando al negozio, attribuii il suo successo alla magia di quella piccola porzione di Budapest, apparentemente capace di evitare il dolore di una città distrutta. Inoltre, scoprii che Sàndor era un vero e proprio filantropo, abituato a portare ai poveri del quartiere tutto il pane e la focaccia invenduta, intrattenendosi spesso con loro. Una sera, accompagnandolo, scoprii con mia grande sorpresa che conosceva molto bene il simpatico senzatetto con il quale avevo condiviso un tozzo di pane.

"Qualcosa mi diceva che avrebbe trovato proprio te, Sàndor." disse l'uomo, mostrando il suo solito sorriso sdentato

"Sai sempre tutto tu, eh?!".

"Questo monumento favorisce gli incontri a quanto pare." mi intromisi io.

"In realtà io e questo vecchio caprone ci conosciamo da parecchi anni." affermò il clochard, del quale non conobbi mai il nome. "Avevamo attività lavorative diverse, ma eravamo e siamo ancora buoni amici."

"Buoni amici? Ma ti ho offerto il mio aiuto per risollevarti e non hai accettato!".

Il barbone scrollò le spalle. "Non ho ancora terminato di scontare gli errori del mio passato e poi sai, comincio ad affezionarmi alla strada."

Sàndor scosse la testa, sorridendo. "Sei un ubriacone."

"E tu un vecchio bisbetico!".

Restai in disparte, divertito dal loro siparietto. Non c'era alcuna cattiveria nelle loro parole, ma era il loro modo di prendersi in giro da vecchi amici, nascondendo un grande rispetto. Chissà quante avventure avevano vissuto in gioventù, quanti luoghi avevano visitato. Eppure, trovavo molto strano il fatto che il senzatetto avesse rifiutato l'aiuto di Sàndor; quante persone al mondo accetterebbero di vivere in strada, sole, senza cercare di riprendere il filo della propria vita. Non conoscevo nulla del suo passato, ma più di una volta aveva parlato di errori che lo avevano portato dove si trovava ora. Tuttavia, espiare le sue colpe in quel modo mi sembrava eccessivo.

Trovavo inoltre una strana coincidenza il fatto che il vecchietto mi avesse mandato proprio dove lavorava Sàndor. Se l'aveva fatto intenzionalmente, gliene sarei stato debitore a vita.

Ma a quanto pare le sorprese non erano ancora terminate, in quanto qualche giorno dopo accadde qualcosa di impensabile. Sàndor chiuse la bottega prima del solito e mi chiese di seguirlo e, nonostante non sapessi dove mi stesse conducendo, non feci domande; la curiosità mi stava dilaniando. Mi portò nei pressi di una serie di villette a schiera che formavano un angolo a V e salimmo fino al primo piano, dove erano situati molti appartamenti.

"Dove siamo? chiesi io.

Sàndor non disse nulla e si limitò a sorridere. Prese dalla tasca una chiave e con esse aprì la porta, al di là della quale trovai una magione pulita e ben arredata, con mobili intagliati nel legno da artigiani di qualità e quadri raffiguranti i luoghi più suggestivi di Budapest. Non c'era che dire; un gusto decorativo impeccabile.

"L'appartamento è tuo, vero?" domandai.

"Si, un eredità di famiglia." rispose finalmente.

"E' bello grande."

"Eh si. Ha cinque locali." mi disse, facendomi fare il giro dell'appartamento. "Guarda qui, questa è la camera da letto principale."

La osservai e mi limitai ad annuire, poi mi portò qualche metro più avanti. "Questa invece era la stanza degli ospiti."

"Sono tutte molte spaziose."

"Già." confermò passando oltre. "Qui invece c'è un bello studio, con scrivania, armadio e tutto l'occorrente per scrivere e una piccola libreria."

"Dunque ora mancano la cucina e il soggiorno."

"Esatto." - disse, mostrandomi la sala da pranzo. "L'ha costruita interamente mio padre. Era un grande artigiano, sai?".

"E la sala?".

"Giudica tu."

Rimasi davvero impressionato dal gusto con cui aveva arredato la stanza, con divani, poltrone e un enorme tavolo. Tutto al posto giusto.

"E il bagno molto spazioso."

"Sono impressionato." affermai sincero.

"E non è tutto, sai?" aggiunse, entusiasta. "Nei sotterranei della palazzina c'è pure una cantina."

"Sàndor, posso farti una domanda?".

"Ma certo."

"Perché mi stai facendo vedere tutto questo?".

Rimase in silenzio qualche istante, con le mani sui fianchi. "Poco fa ti ho detto che questo appartamento è mio, vero."

Inarcai un sopracciglio. "Si..."

"Ora non più." affermò porgendomi le chiavi. "Ora è tuo."

Non ho parole per descrivere cosa provai in quel momento e non riuscii a spiccicare parole, mentre Sàndor mi guardava pazientemente. Dopodiché, feci ciò che istintivamente chiunque avrebbe fatto.

"Non posso accettare." lo informai cercando di ridargli le chiavi, ma lui si ritrasse.

"Tàmas, io ho già una casa e una bottega, non me ne faccio nulla di questo appartamento e alla mia morte finirebbe allo Stato in quanto non ho eredi."

Faceva sempre così, tendendo a sminuire ogni cosa e facendo finta che non gli importava aiutarmi . "E' che mi sento in imbarazzo."

"Accetta e basta." insisté con voce pacata, stringendo la sua mano sulla mia. "Fallo per un povero vecchio."

Scossi la testa, tra il commosso e il disorientato. "Io... non credo di meritarmi tutto questo."

Mi appoggiò una mano sulla spalla. "Te lo meriti, Tàmas. Allora, che ne dici?".

"Va bene. Accetto."

"Benissimo! Domani andremo dal notaio a firmare l'atto di proprietà."

"Grazie..." esclamai e, senza pensarci troppo lo abbracciai. Temevo si sarebbe staccato, intimandomi di comportarmi da uomo, ma non lo fece. Poi, uscimmo dall'abitazione e mi disse che avrei potuto scegliere altri mobili se quelli non mi piacevano, ma assicurai che quelli che aveva comprato lui andavano benissimo. 

Mi trasferii l'indomani e lo invitai a cenare da me per festeggiare. Ripeto, non sapevo se meritassi davvero tutto ciò che mi stava accadendo. Avevo perso tutto e ora la vita mi stava premiando per qualcosa... ma di che si trattava? In guerra mi ero macchiato di azioni terribili, togliendo la vita a molte persone e credevo che sarei stato punito per questo, altro che premiato. Comunque, le prime settimane nella nuova casa trascorsero lisce e presto mi abituai al mio nuovo stile di vita. 

Ma la tranquillità che tanto bramavo non sarebbe durata a lungo.

Sullo scalino nascosto nella notteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora