Il funerale fu straziante e com'era prevedibile una intera folla di persone, tra cui quasi tutti i clienti della bottega, giunsero a porre l'ultimo saluto a colui che era considerato da molti un amico, da altri un esempio da seguire. E poi c'eravamo io e Anita, in disparte a lasciare che ciascuno di loro, sulla tomba oramai sigillata, salutassero Sàndor sottovoce e a modo loro.
Prima della fine della funzione arrivò pure il suo amico Clochard, il quale barcollava forse per una dose eccessiva di alcool, ma questa volta non sorrideva affatto. Sul suo volto si poteva leggere tutta la sua disperazione per la perdita dell'unico amico che forse gli era rimasto.
"E così vecchiaccio alla fine te ne sei andato per primo." commentò l'uomo alla bara che stava per essere calata nella fossa del cimitero. "Discutevamo sempre su chi sarebbe morto prima e a giudicare dagli eventi, chi mai avrebbe sospettato che sarebbe toccato a te. Beh, questa sera brinderò a te, vecchio brontolone! Mi ha più volte offerto un posto dove stare, sai?" mi rivelò. "Ma non meritavo la sua bontà."
Poi guardò Anita, mi diede una pacca sulle spalle e se ne andò senza aggiungere una parola. Nel momento in cui la bara venne calata nella fossa ci fu uno scroscio di applausi, quasi se ne fosse andato un eroe. E per me Sàndor un eroe lo era stato. Per davvero.
Quella notte riflettei e decisi di chiudere il negozio per lutto un paio di giorni; i clienti avrebbero capito, in quanto non sarei comunque riuscito a lavorare in modo produttivo e questo Sàndor non l'avrebbe mai tollerato.
Io e Anita restammo in casa tutto il tempo, senza mai uscire, escluse le mie capatine al negozio per procuraci qualcosa da mangiare. Passai la maggior parte del tempo attorno al tavolo a riflettere sul perché di quella sfortuna, ma non ebbi tempo per compatirmi, dato che di lì a qualche giorno saremmo stati convocati dal notaio, il quale ci comunicò che Sàndor ci aveva lasciato tutta la sua eredità.
In particolare donò ad Anita il suo appartamento e altre proprietà disseminate tra Budapest e periferia. Io avevo già un appartamento che mi era stato regalato proprio da lui e in aggiunta ereditai la panetteria. Aveva voluto tutelare sia lei che me, apparentemente allo stesso modo. Che poi avesse preferito lei a me non lo ebbi mai a sapere, ma non mi importava. Sapevo che ci aveva voluto bene allo stesso modo e tanto bastava.
Anche se la voglia era assente, dovetti riaprire regolarmente la panetteria. I clienti tornarono l'uno dopo l'altro, parlando in continuazione del loro amato ex proprietario e ciò non poteva che farmi male. Tutto in quel luogo mi ricordava lui. Anche Anita riprese ad aiutarmi, senza entusiasmo.
Era terribile non vederla più sorridere, arrivare in bicicletta la mattina parcheggiando senza frenare, con l'incoscienza tipica di una pre-adolescente, ma era più che normale, dato ciò che le era venuto a mancare.
Poi arrivò il giorno in cui mi spaventai seriamente. Eravamo d'accordo di vederci in negozio per le nove del mattino, ma non la vidi arrivare. Sulle prime non mi preoccupai, convinto che dormisse, dato che nelle ultimi notti non aveva chiuso praticamente occhio. Ma poi passarono le ore e dopo mezzogiorno mi convinsi che fosse nuovamente a letto, magari sveglia e senza voglia di alzarsi.
Potevo capirla.
Tornai a casa per la pausa pranzo piuttosto tranquillo. Avrei mangiato e poi sarei rimasto a casa l'intero pomeriggio, dato che il mio nuovo collaboratore aveva il turno pomeridiano. Ero stanco e probabilmente avrei seguito l'esempio di Anita, ancora chiusa in camera. Non l'avrei disturbata, mi dissi, ma poi passarono le ore e mi convinsi che fosse semplicemente seduta sulla sua sedia, magari assorta nei suoi tristi pensieri. Solitamente preferiva il soggiorno, ma forse si era accorta che la osservavo e si sentiva infastidita. Fu così che decisi di controllare.
Bussai alla sua porta. "Disturbo, Anita?".
Nessuna risposta.
A quel punto, nonostante potesse apparire delicato, aprii delicatamente la porta e scoprii che in quella stanza non c'era nessuno. Tutto perfettamente in ordine, compreso il suo letto. Guardai praticamente ovunque, ma di lei non c'era alcuna traccia. Era sparita.
Mi allarmai immediatamente e ogni ipotesi tragica si accavallò nella mia mente. Era scappata chissà dove e nel tragitto era stata rapita, magari dai malintenzionati con i quali mi ero imbattuto tempo prima o forse semplicemente si trovava male a casa mia e aveva preferito andarsene. Ma non era tempo per le congetture. Dovevo trovarla.
Uscii rapidamente di casa, correndo come un ossesso. Ma quando mi accorsi che la mia ricerca dissennata era del tutto improduttiva, mi fermai, cercando di ragionare con lucidità e fu allora che ebbi immediatamente la soluzione. Dove poteva essere andata? Ma è ovvio, nell'unico luogo in cui aveva trovato la sua stabilità prima di conoscermi. Non c'e bisogno di usare sotterfugi.
Ancora una volta quelle scale.
Non la trovai nello sgabuzzino, ma seduta sul piccolo pian terreno, vicino a una porta che i proprietari non aprivano mai in nostra presenza. Mi vide ma fece finta di nulla, abbassando subito lo sguardo. Mi sedetti così a suo fianco, convinto che avrei dovuto sorbirmi ore di silenzio, dato che lei non avrebbe parlato e io non l'avrei infastidita, ma invece fu lei a parlare poco dopo.
"Era così chiaro che mi trovassi qui?" mi chiese.
"Dopo giorni passati a guardare fuori dalla finestra in questa direzione? Direi di si."
"E come hai fatto a capirlo?".
"Ti ho osservato."
Pensai si sarebbe offesa o irritata, ma si limitò ad annuire. "Capisco."
"Perché se venuta qui?" le chiesi, anche se intimamente conoscevo la risposta.
"Perché mi sento vicina a casa mia."
"Quindi il luogo in cui vivi è simile a questo."
"Non esattamente..."
"Ok, ok, non insisto." la tranquillizzai immediatamente.
"Non è che non voglia parlarne, ma.... ecco, diciamo che non mi crederesti. Forse un giorno riuscirò a parlarne."
"Va bene."
"La morte di Sàndor mi ha completamente distrutto, io..."
"Non devi giustificarti." le dissi. "Ti capisco perfettamente."
"Mi ha voluto bene e non mi succedeva da tempo di avere di fianco una persona così. E non voglio che pensi che non tengo a te, Tàmas. Al contrario. Mi rendo conto che non sarei dovuta scappare. Hai fatto tantissimo per me e non ti meriti il mio comportamento."
"E' tutto a posto. Ma quando hai bisogno di parlare devi solo chiedere. Per qualsiasi cosa."
"Va bene, lo farò."
Il solito silenzio.
"Vuoi tornare a casa?" le proposi. "Quello sgabuzzino non mi sembra poi così comodo."
Mi sorrise come non faceva da tempo. "Va bene, andiamo."
Ci alzammo e tornammo a casa e lungo il tragitto fece qualcosa che mi sorprese non poco. Prese la mia mano nella sua senza dire nulla e io la lasciai fare. L'avrei aiutata a superare quel brutto periodo e lei avrebbe aiutato me.
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Sullo scalino nascosto nella notte
FantasyIl soldato Tàmas, di ritorno dalla guerra, si imbatte nella giovane Anita, la quale si nasconde ogni notte su una scalinata di una casa apparentemente abbandonata. Tàmas decide di prendersi cura di lei, fino al momento in cui inizia a rendersi cont...