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Con movimenti molto lenti del capo, quasi avessi paura di adocchiare orrori ancora più grandi e terribili, mi guardai attorno. Il rumore di un forte vento apparso all'improvviso accompagnò i miei spostamenti, mentre seguitavo a pormi in continuazione la stessa domanda: dove mi trovavo?

Temevo di aver contratto un'amnesia irreversibile, dal momento che non ricordavo assolutamente nulla di ciò che era successo. Cercai un suggerimento studiando i miei vestiti sudici, emblema di un uniforme che odiavo e che mi era stata incollata addosso contro la mia volontà. Ricordo ancora la profonda vergogna che provai nell'indossarla la prima volta, disgustato da ciò che simboleggiava. La stessa identica vergogna mi assalì in quell'istante, in cui avrei voluto strapparmi di dosso quei maledetti abiti.

Provai a fare qualche passo ma oltre al fisico anche la mente era distrutta in tanti piccoli pezzettini e avrebbe avuto bisogno di tempo per ricomporsi. Nonostante gli immani sforzi, riuscii ad allontanarmi dal campo di battaglia ma non trovai il coraggio di voltarmi, lasciandomi così alle spalle un orrore che non avrei facilmente dimenticato.

Camminando la memoria fece nuovamente capolino e allora rimembrai il luogo in cui mi trovavo e dal quale stavo tristemente fuggendo. Debrecen, una delle più belle città dell'Ungheria, ora ridotta al nulla. Certo, la mia nazione possedeva una bella collezione di città, una più gradevole dell'altra, ma chi non ci viveva non poteva certo saperlo e non avrebbe mai potuto comprendere le lacrime causate dalla distruzione di qualcosa di davvero meraviglioso, di secoli di amata cultura e tradizioni devastate a colpi di cannone.

E Debrecen di sicuro era uno dei luoghi che aveva conosciuto più annichilimento, con quasi la metà delle abitazioni cittadine rase al suolo. La sua unica colpa era di essere stata teatro di una sanguinosa lotta. Fino a quel giorno di battaglie ne avevo combattute fin troppe e se gran parte dei miei compagni di sventura era caduta, io ero sopravvissuto, nonostante non avessi né il fisico da combattente né la tempra del soldato cinico.

Era stato il generale Johannes Friessner a istruirci sulle missioni e sulle azioni da svolgere insieme ai commilitoni. Già essere costretto a combattere insieme ai tedeschi era insopportabile, qualcosa che andava contro tutti i miei principi. E il nazismo non figurava certo tra quelli.

In quel momento, disidratato e senza forze, pensai che avrei dovuto disertare fin dall'inizio e accettarne le conseguenze, tra cui l'eventualità di un plotone di esecuzione. Almeno sarei morto con dignità. Certo, ero vivo, ma appartenevo alla cerchia degli sconfitti - se così si poteva dire - in quanto la battaglia di Debrecen si era rivelata un completo disastro.

I sovietici avevano ottenuto una vittoria devastante, che non ammetteva appello. Chissà quanti prigionieri avevano fatto, quanti amici erano finiti nelle mani del nemico. Probabilmente prima di andarsene i russi mi avevano creduto morto, altrimenti avrebbero catturato anche me.

Come se non bastasse, avevo completamente perso la cognizione del tempo, ma avrei presto scoperto che quella giornata portava la data 29 ottobre 1944 mentre le ostilità avevano avuto inizio il giorno 6 di quel mese. Io in realtà vi ero giunto solo alcuni giorni dopo, a battaglia in corso.

L'unico aspetto grottesco era sentire parlare di una sorta di vittoria tattica tedesca nella battaglia di Debrecen, ma invero i sovietici avrebbero avuto modo di acquistare ulteriore terreno grazie alla schiacciante vittoria e sarebbero giunti fino al cuore dell'Ungheria, Budapest.

Lo ribadisco, ero parte della risma degli sconfitti, ma non c'entrava l'esito della guerriglia. L'unica sconfitta l'avevo subita il giorno in cui ero stato costretto ad arruolarmi. Da adolescente qual ero credevo che non sarebbe potuto accadere, in quanto troppo giovane e inesperto per prendere parte a una guerra con soldati feroci con alle spalle decine e decine di campagne militari. Eppure questa sorte non era toccata solo a me, ma a tutti i miei coetanei dotati di buona salute.

Prima di andarmene avevo tristemente contemplato il corpo senza vita di alcuni dei miei compagni, persone semplici e con onesti lavori, tra cui venditori ambulanti, marinai e addirittura un contabile. Non che fossimo propriamente amici, ma ci eravamo trovati tutti nella stessa barca ed era stato inevitabile il formarsi di un legame, sciolto però da un tragico destino. O almeno era quello credevo.

Davo per scontato di essere l'unico sopravvissuto a quella carneficina, ma forse qualcuno si era destato prima di me e aveva levato le tende anzitempo.

No, ritenevo la cosa improbabile.

La fragilità della mia mente mi obbligò a vedere la figura oscura della Morte dall'alto delle macerie, che osservava il macabro spettacolo con orrore e disgusto, costretta a rimanere sino alla fine. Il suo volto inespressivo non poteva lasciare trasparire alcuna emozione ma la sua falce sarebbe rimasta immacolata dal momento che il terreno era già stato bagnato dal sangue delle vittime. E terminata quell'inutile strage, se ne sarebbe andata con estremo sollievo.

Sul labile confine tra il campo di battaglia e la via del ritorno notai il cadavere di un soldato tedesco morto imbracciando il proprio fucile; strana scelta. Mi guardai attorno, poi mi abbassai e glielo rubai, adagiandomelo a tracolla sulla spalla. A lui non sarebbe più servito quello strumento di morte mentre io, per quanto ne sapevo, avrei dovuto difendermi e senza un'arma non avevo alcuna speranza.

Poi finalmente mi allontanai, senza fretta. Dopo tanti anni di guerra, qualche minuto in più o in meno non facevano alcuna differenza. Già, per quanti anni ero stato al fronte? Quattro? Cinque? Non lo ricordavo, ma nella mia mente pareva comunque un tempo infinito, che aveva rubato senza pietà gli anni migliori della mia vita.

Ancora non lo sapevo, ma quella sarebbe stata la mia ultima battaglia nelle file dell'esercito ungherese, anche se il secondo conflitto mondiale sarebbe durato oltre un anno. E quando le ostilità vennero ufficialmente chiuse, mi convinsi che non avrei mai più dovuto scendere in campo e combattere.

Questo scioccamente pensavo, ma il destino avrebbe deciso diversamente.

Sullo scalino nascosto nella notteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora