Capitolo quarantatre

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                       Destiny

Trangugio di corsa il caffè, scottandomi il palato. Sono in ritardassimo e per quanto mi ostini a dare la colpa alla sveglia che non è suonata, so benissimo che è dipeso esclusivamente da me e dalle ore passate a guardare il display del telefono in attesa di un messaggio da parte di Ryan che non è mai arrivato. Non sarei dovuto venire è stata la frase che mi ha tenuto sveglia tutta la notte e concesso solo un'ora di sonno ad alba sopraggiunta. Non sarei dovuto venire dove? Da me? A casa nostra? Dalla tua famiglia? A letto con me? Amo Ryan quanto i amo miei figli, vale a dire più di ogni altra cosa al mondo, ma certe volte fatico a capirlo.
«Hai la camicia al contrario.» Un Chase che si è appena alzato dal letto dopo aver passato tutta la notte al mio fianco fa capolino in cucina. Ha i capelli arruffati ed il pigiama tutto spiegazzato. Mi guardo il petto e noto che ha ragione. «Vuoi una mano?» Sorride e si avvicina. Gli spalmo una mano in faccia e gli stringo le guance, riportando il suo viso all'altezza del mio. «Sto bene così.» Ride e mi abbraccia. Mi sfiora la nuca con la punta del naso ed io sorrido a causa del solletico che mi provoca. «Chiama se ne hai bisogno, sono qui per te.» Mi volto e gli bacio una guancia. «Sei l'amico migliore che una ragazza possa desiderare.» «Come darti torto, tesoro.» Si vanta, facendomi sorridere. «Ci sentiamo dopo.» Mi bacia la tempia e mi lascia andare. Do' il buongiorno a William e gli faccio segno di avviarsi verso la macchina. Mi apre la portiera ed io lo ringrazio, accomodandomi sui sedili posteriori della macchina. Raccolgo l'elastico fluorescente che Emily ha dimenticato in auto e me lo lego al polso, sorridendo al contrasto che crea con la camicia. Dieci minuti dopo sono nel mio ufficio ad aggiornare le cartelle mediche e ad indossare il camice bianco. Lo abbottono volutamente in modo tale che non si veda quanto poco mi importi ultimamente di cosa indosso ed esco dalla stanza. Lavorare è l'unica attività che riesce a occuparmi a pieno a la mente e a distogliere il mio pensiero da Ryan e da quello che sta facendo così dopo tre ore di analisi, controlli e chemioterapie mi concedo una piccola pausa al distributore automatico. Prendo una cioccolata calda e ritiro le monetine finite sul fondo. Mi volto e quasi non rovescio la bevanda calda addosso a Jared. I miei occhi sono fissi sulla camicia grigia che indossa e sono quasi tentata di lasciarli in quella posizione in modo tale da evitare il contatto visivo. «Possiamo parlare?» Deglutisco ed alzo lo sguardo, ma quando noto le condizioni in cui si trova il suo viso spalanco la bocca. «Cos'è successo?» Ha il viso pesto e gonfio, a tratti irriconoscibile. «Nel tuo ufficio.» Lo seguo con il cuore in gola. Chiudo la porta alle nostre spalle, cercando di capire se ciò che è capitato a lui c'entri qualcosa con me. Qualcosa dentro di me mi dice di sì, ma decido di non prestargli completa attenzione. «Tuo marito sa il fatto suo quando si tratta di marcare il territorio.» Il calore della cioccolata mi brucia il palmo, ma a causa della confusione in cui sono piombata non ci faccio subito caso. «È stato Ryan a ridurti così?» Ho la gola secca ed una sensazione di bruciore allo stomaco. L'immagine delle sue nocche arrossate e leggermente ferire mi torna alla mente, collegando le cose. Annuisce. «Deduco sappia del bacio.» Mi guarda e quasi faccio fatica a ricambiare. Ha le guance livide e la bocca ferita tanto da deturpargli il viso. «Se avessi saputo che queste sarebbero state le conseguenze non glielo avrei detto.» Nonostante gli procuri dolore, accenna un sorriso. «Mi avresti risparmiato una notte in ospedale.» Sento il cuore pesante all'idea che Ryan, dopo averlo ridotto in questo stato, sia venuto da me come se nulla fosse ed abbia rivendicato l'effetto che ha su di me e sul mio corpo. «Mi dispiace tantissimo, Jared. Ryan ha superato il limite questa volta.» «Non credo gliene importi qualcosa.» «Importa a me, infatti.» Alza la nuca ed io deglutisco. «Non esiste che riduca un'altra persona in questo modo. Adesso lo chiamo.» «Ti funziona, allora.» «Cosa?» Il contatto di Ryan salvato tra i preferiti occupa lo schermo del cellulare. Ammicca verso il telefono. «Non hai risposto a nessuna delle mie chiamate.» «Non sapevo cosa dirti.» «Ascoltarmi sarebbe bastato.» Abbasso lo sguardo. «Non ho fatto altro che pensare a quel bacio.» mormora. «Non avrei dovuto dartelo.» «Ma lo hai fatto.» «E guarda adesso come stai.» «A differenza di te che mi ignori perlomeno questo è sopportabile.» Le sue parole mi fanno sentire ancora più in colpa. Picchiato a sangue dall'uomo che amo e ignorato dall'unica persona di cui voleva l'attenzione, a quanto pare le cose a Jared stanno andando peggio che alla sottoscritta. Tuttavia però, non riesco a non essere sincera con lui. «Non posso, Jared. Qualunque cosa tu voglia da me, non posso dartela. Mi dispiace.» Mi ritraggo leggermente e lui sospira. Ho sbagliato una volta, non ripeterò lo stesso errore una seconda. Stringe leggermente gli occhi e quando li riapre con fatica l'immagine di Ryan che ghigna mi invade la testa. «Sei innamorata di lui, lo capisco.» «In questo momento tanto quanto vorrei prenderlo a schiaffi.» Ride ma la risata ha breve durata a causa dell'intensità del dolore che gli provoca farlo. Mi mordo il labbro per non prendere a pugni qualcosa. Non riesco ancora a credere che Ryan abbia compiuto un tale gesto. Farei in modo che non accada, ma non mi sorprenderei se Jared lo denunciasse. «Ieri sera mi ha intimato di starti lontano.» Cancello dalla mente l'immagine di mio marito con indosso una divisa arancione e mi concentro sul viso martoriato dell'uomo davanti a me. «E a quanto pare ho solo sprecato fiato.» Voltiamo entrambi la testa verso la porta dove ad accoglierci c'è l'espressione contrariata  di Ryan.

Perché proprio lei? ? 2.0Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora