16: Il Vero Nemico

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Il cielo di Roma era ancora macchiato di rosa e arancione, quando l'uomo raggiunse il tetto dell'edificio. Scalarlo era stato un gioco da ragazzi: era stato suo padre a insegnargli come arrampicarsi, più di un secolo prima.

Ora i suoi piedi si muovevano leggeri sulle tegole rossastre, perfettamente incastrate l'una sopra l'altra da mani sapienti. Accoglievano i suoi passi senza produrre suoni, per un tacito accordo stipulato nell'istante in cui le suole delle sue scarpe avevano sfiorato il laterizio che le componeva.

Raggiunto il lato opposto del tetto, l'uomo si schermò il viso con la mano, per proteggersi dagli ultimi raggi insistenti del sole, ormai scomparso. Lo seguì finché non superò la linea immaginaria dell'orizzonte, per poi sorridere.

C'era una leggenda, che parlava di un uomo impazzito per amore, che aveva finito con il gettarvisi all'interno. Era una delle storie più romantiche la sua gente avesse mai concepito, ma gli piaceva pensare che vi fosse un fondo di verità, in quelle parole.

Strinse nel pugno la gemma color acquamarina che aveva rubato qualche giorno prima. La teneva al collo, nascosta sotto la maglietta, al sicuro. Ogni tanto se la rigirava tra le mani, e, se era solo, si abbandonava a un sospiro triste.

<<Che cosa vuoi, Altair?>> domandò una voce, da qualche parte sotto i suoi piedi. Con uno scatto, rimise a posto il ciondolo e si allontanò dal bordo, accovacciandosi per sentire meglio.

<<E io cosa dovrei fare?>> proseguì la voce, innervosita. Apparteneva ad una donna che conosceva bene. <<Te l'ho detto: il governo non ti aiuterà, non più. Hai fallito una volta di troppo>> proseguì, pacata.

L'uomo sul tetto si sporse leggermente ed individuò la figura di una donna dai capelli lunghi e castani, che le ricadevano a boccoli sulla schiena. Gli dava le spalle e teneva tra le mani un telefono cellulare.

<<Hai detto anche tu che abbiamo perso le tracce. Quando Cassius si riprenderà, faremo un altro tentativo>> proseguì la donna, prendendo a camminare lungo il balcone. Si trovavano al nono piano, ma non sembrava affatto disturbata dall'altezza. E poi, l'uomo sul tetto l'aveva vista in situazioni decisamente più spaventose.

Angelica Anversi era entrata nei servizi segreti a diciassette anni, ma la sua fama aveva avuto origine anni prima. Esperta nei travestimenti, era stata in grado di derubare una delle banche più importanti della Svizzera, per poi uscirne pulita. Aveva tredici anni quando, partendo da piccoli furti di scarsa importanza, si era costruita un nome nel mondo della criminalità, senza che mai nessuno venisse a conoscenza della sua identità.

Si faceva chiamare Il Gatto Bianco e lavorava su commissione.

Quando i Servizi Segreti capirono di non poterla catturare, le fecero una proposta che le fu difficile rifiutare: se per anni aveva celato la propria identità dietro quella del Gatto Bianco, ora aveva l'opportunità di diventarlo.

Angelica voleva essere un'ombra e nulla di più, così cancellarono interamente la sua identità. Documenti, verifiche e pagelle scolastiche, fotografie e video: ogni singola cosa che potesse in qualche modo testimoniare la sua esistenza venne fatta sparire e, infine, distrutta.

Senza più alcun legame con la sua vita precedente, Angelica prese a lavorare per il SISDE e, per molti anni, la sua vita si limitò a missioni sparse in giro per il mondo, sotto identità sempre diverse e con sembianze ogni volta mutate. Dalle sabbie del deserto alle sconfinate distese della prateria, Angelica portò a termine i ruoli più complessi e impossibili, guadagnandosi la fama di uno dei migliori agenti segreti sul mercato.

Proprio quando pensava che la sua vita avesse raggiunto il limite del possibile, esso venne superato.

Una sera, proprio mentre rientrava da una missione che l'aveva tenuta fuori dall'Italia per alcuni mesi, venne avvicinata da un uomo dalla pelle scura e dagli occhi a mandorla, interamente neri.

HOSHIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora