41. Così Libero

11 1 0
                                    

L'intera sala era sprofondata nel silenzio. Persino Marzio tentennò. Il suo viso era una maschera di stupore e disperazione, i suoi occhi folli e senza luce. Guardava Sagitta come se non la vedesse davvero, come se fosse solo frutto della sua immaginazione, pur sapendo che non lo era affatto.

Lo sguardo di Greta, fermo su Sagitta, si spostò su Andrea e poi di nuovo su Sagitta. Beatrice, ripeté a se stessa, come un ricordo lontano. Certo, la Donna Guerriero somigliava alla madre amorevole e apprensiva che Andrea aveva tanto criticato negli anni della sua adolescenza. Eppure, bastava guardarla negli occhi per comprendere che non si trattava della stessa persona, non per davvero.

Sagitta aveva lo sguardo temerario, gli occhi di chi aveva assistito alla morte e dalla morte aveva ricavato la propria forza, come una sorta di negromanzia. Erano azzurri come quelli di Beatrice, ma l'espressione del suo viso li trasformava in pozze di petrolio.

<<Non essere sciocca, Sagitta mia>> esordì Marzio, nervoso, <<non c'è nessun'altra verità da raccontare. Cerca di calmarti adesso, fallo almeno per le nostre figlie>>.

Sagitta lo guardò come se fosse uno scarafaggio. <<Io non ti devo niente, Marzio. Nessuno in questa stanza ti deve niente. Hai conquistato il tuo trono con il sangue e con esso lo mantieni tutt'ora. Forse è un bene che tu abbia ucciso tua madre. Almeno non deve stare a guardare che cosa sei diventato>>.

Dal piano inferiore, si levò un vociare sommesso. Greta allungò il collo e vide centinaia di stranieri, uomini e donne, con indosso pesanti mantelli color porpora. Quello doveva essere il Consiglio, come Sagitta lo aveva chiamato prima.

Marzio annaspò. <<Perché inventi queste cose, adesso? Sai benissimo chi ha ucciso mia madre, non sono stato io. Perché avrei dovuto farlo?>>.

<<Perché sapevi che non avrebbe mai scelto te come Signore della Galassia>> rispose Sagitta, seria. <<Ricordo benissimo quella notte. Lei ci raccolse tutti nel suo ufficio, quello che ora rivendichi come tuo senza diritto. Ci disse che era a un passo dal decidere il suo successore e che ce lo avrebbe presto comunicato. Ci congedò, ma tu insistetti per rimanere. Cercasti di convincerla, la ricattasti, ma lei non ti disse mai su chi fosse ricaduta la sua decisione. Si limitò a dirti che non saresti stato tu a diventare Signore della Galassia. E tu la uccidesti a sangue freddo, tua madre. Non la mia, non quella di Gemin, tua madre, che ci aveva allevati come una famiglia, che si era impegnata per istruirci tutti allo stesso modo. Non ha mai fatto preferenze, se non nell'unico momento in cui il suo ruolo glielo ha richiesto. E tu l'hai uccisa, ma, prima di farlo, l'hai obbligata a dichiararti suo erede>>.

<<Sagitta, il dolore ti ha fatto impazzire. Nulla di tutto ciò è mai successo>>.

<<Certo che è successo. Gemin e io ci insospettimmo quando non ti vedemmo tornare. Vi spiammo e scoprimmo la verità. Tu non potevi vederci, ma eravamo presenti quando, senza preavviso, hai spinto nostra madre giù dalla balconata del suo ufficio>>.

La sala cadde nuovamente nel silenzio.

<<Fosti furbo, se non altro. Prima di andare a colloquio da nostra madre, annunciasti alle guardie che saresti partito per qualche giorno. Così, quando trovarono il corpo di nostra madre, tu avevi già un alibi perfetto. Ti fingesti disperato, distrutto dal dolore, ma la tua messa in scena durò poco. Infatti, il tuo piano prevedeva incolpare qualcun altro dell'omicidio da te compiuto. E scegliesti Gemin>>.

<<Non hai prove>> ribatté Marzio, secco. <<Il trono è mio perché nostra madre me lo ha lasciato, fine della questione>>.

Sagitta non diede segno di averlo sentito. <<Utilizzasti la firma di nostra madre per proclamarti Signore della Galassia. La pugnalasti alle spalle non una, ma due volte. E poi, ordinasti l'uccisione di Gemin. Io stessa credetti per mesi che fosse morto, quegli stessi mesi in cui tu mi obbligasti a sposarti e ad avere una figlia con te. Tu eri il Signore della Galassia e io stavo solo cercando di proteggere le persone che amavo. La mia famiglia, i miei amici. Mi tenesti sottochiave per mesi, finché non ti arrendesti all'evidenza: non avrei mai amato un mostro come te. Quindi, senza perdere tempo, condannasti a morte anche me, con l'accusa di tradimento>>.

HOSHIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora