40. La Donna Guerriero

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Gemin aveva smesso di percepire il lato destro della faccia da almeno una decina di minuti a quel punto. Il taglio gli rigava ancora la guancia in orizzontale, ma almeno aveva smesso di sanguinare.

Quando respirava, l'aria vi passava attraverso, accompagnata da un bruciore infernale che si espandeva al resto della bocca. Era come mangiare tizzoni ardenti, ma lasciarli riposare sulla lingua per qualche tempo prima di ingoiarli.

Non era una ferita mortale, di per sé, ma il dolore gli annebbiava comunque la vista.

Scosse la testa, nel tentativo di riprendere padronanza di sé, e si accorse di un gruppo di soldati. Combattevano tutti contro una sola persona.

Gemin imprecò e prese a correre verso sua figlia, accerchiata da una mezza dozzina di stranieri, uomini e donne, tutti molto più armati di lei.

Umbriel gli parve sfinita. Non sembrava nemmeno più intenzionata a ingaggiare un contatto diretto con i suoi avversari. Si limitava a utilizzare il suo Tsuyo per privarli di parti della loro armatura o per sbalzarli via di diversi metri.

Se la stava cavando bene, ma quella per Gemin non era una sorpresa. Nonostante il suo animo gentile, era sempre stata quella che più sfogava la propria rabbia in combattimento. E doveva provarne proprio tanta, in quel momento.

Con un salto, Gemin li superò, atterrando con un tonfo accanto a Umbriel, che gli gettò un'occhiata terrorizzata.

<<Che ti è successo?>> gridò.

La ignorò. Il dolore alla guancia gli impediva di parlare e i soldati di Marzio avevano ripreso la loro avanzata. Tentò di fare mente locale, nei pochi secondi rimasti: non aveva più senso nascondere il proprio Tsuyo e, con esso, la propria identità. Quei soldati e, subito dopo, Marzio l'avrebbero scoperta in ogni caso di lì a poco.

E quella era una situazione disperata.

Prese un profondo respiro, mantenendo salda tra le dita la speranza di esserne ancora in grado, dopo tutti gli anni trascorsi dall'ultima volta.

Guardò Umbriel un'ultima volta e si slanciò contro il pavimento della sala, frantumandone le piastrelle con il pugno chiuso. Le venature del marmo scheggiato si aprirono a raggio dal punto in cui si trovava la sua mano, estendendosi fino ai piedi dei soldati, che increduli avevano smetto di avanzare.

Non fecero in tempo a domandarsi avesse fatto, che vennero fulminati sul posto, investiti da singole scariche elettriche che si erano dissolte all'interno dei loro corpi.

Crollarono a terra tutti insieme, perfettamente immobili.

<<Cosa hai fatto?>> gridò Umbriel, più confusa che colpita dalle capacità di suo padre.

<<Non è importante>>. Gettò uno sguardo rapido alla sala, portandosi una mano contro la guancia. <<Dobbiamo far uscire quanta più gente possibile. Il Leviatano sta per entrare>>.

Il modo secco con cui pronunciò quelle parole fece tornare Umbriel alla realtà. Annuì e gli diede le spalle, salvo poi voltarsi un'ultima volta verso suo padre, che però non c'era già più.

Questa è l'ultima, pensò, per poi iniziare a correre.

***

Rubidia era rimasta immobile e tutto di lei sembrava urlare la loro imminente sconfitta.

Il sangue le colava lungo il corpetto del vestito, per metà sventrato. I lunghi capelli biondi le si incollavano al collo sudato, imbrattato del trucco che aveva applicato qualche ora prima e che ora le colava lungo le guance come lacrime di catrame.

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