17. Sangue Altrui

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Nella mente di Greta, la scena sembrò svolgersi a rallentatore. Aveva letto più volte della cosiddetta "calma da combattimento", ma non le era mai capitato di provarla in prima persona. Avvertì i muscoli della schiena contrarsi, le spalle irrigidirsi come per reggere meglio i colpi che si preparavano a ricevere.

Con un balzo, Venus le fu addosso; il pugnale stretto tra le sue piccole dita luccicò come ghiaccio quando lo abbassò di scatto su Greta, che riuscì a schivarlo all'ultimo secondo buttandosi di lato. La bionda si risollevò immediatamente, pronta a un nuovo agguato, ma questa volta Greta fu più veloce e riuscì a distanziarla di qualche passo. Il coltello andò a conficcarsi contro il muro dove un istante prima si trovava la sua testa, emettendo un suono sgradevole di laterizio graffiato. Per Greta fu inevitabile immaginare una qualsiasi parte del proprio corpo- un braccio, il collo, il petto- al posto di quella parete lurida e annerita dal tempo.

<<Che fai? Scappi?>> rise Venus, voltando di scatto la testa verso di lei. <<È tutto inutile: io sono dentro la tua testa>>. La voce della donna era resa roca dal pianto, mentre le lacrime non smettevano di scorrerle sulle guance. Aveva un'aria folle, i capelli sembravano fluttuarle attorno al viso, come sott'acqua.

Le mani di Greta scivolarono fino alla tasca del cappotto ed estrassero la pistola che W le aveva dato poche ore prima. L'aveva usata solo una volta, per distruggere la serratura del portone della casa in cui l'avevano imprigionata, ma la sensazione di potere che aveva provato al momento dello sparo le riecheggiava ancora nella mente. La puntò sull'avversaria, che si abbandonò a una risata sguaiata.

<<Non ne avresti il corag->>. Greta sparò un colpo, interrompendola. Il viso di Venus si trasfigurò per qualche istante in un'espressione di puro terrore, che venne sostituito da un ghigno quando il proiettile si conficcò ad alcuni metri da lei.

Le erano tremate le mani.

L'altra colse l'occasione per annullare le distanze tra di loro, avventandosi su di lei come se la pistola che le puntava addosso non fosse altro che un giocattolo. La colpì con un calcio, facendo scivolare l'arma lontana dalle mani di Greta, che cadde sotto il peso della donna. Questa si abbandonò a una risata, a cavalcioni su di lei. Sollevò in alto il pugnale, scuotendo la testa.

<<Cosa pensavi di fare?>> domandò, preparandosi ad abbassarlo sulla sua gola scoperta. Il ricordo del dolore, della propria pelle che si corrodeva sotto la lama di Rubidio la portò a riprendersi dallo shock: sollevò entrambe le mani e circondò i polsi di Venus, trattenendola a fatica dal pugnalarla.

Lanciò un urlo per lo sforzo, lottando con tutte le proprie forze. Avvertì qualcosa di bagnato sul proprio viso ed impiegò qualche secondo a comprendere di cosa si trattasse: erano lacrime, piovevano a singole gocce dal viso di Venus.

Avrebbe dovuto avere paura, sentirsi paralizzata come quando Sidera l'aveva immobilizzata perché potessero estorcerle informazioni che non aveva, ma l'istinto di sopravvivenza ebbe la meglio. Con una forza che non aveva mai dubitato di avere, allontanò la punta del pugnale dal proprio collo e lo sfilò dalle mani della donna. Con un colpo del braccio, lo slanciò il più lontano possibile, per poi avvertire un dolore lancinante appena sotto il gomito. La lama doveva averla tagliata.

L'adrenalina la invase alla vista del proprio sangue, che si allargava in una chiazza rossastra sulla manica del cappotto. Con un urlo, rotolò su se stessa, portando con sé la donna, che batté con violenza la spalla contro l'asfalto logoro. Greta capovolse di scatto la situazione tra di loro, puntandole le mani con le proprie ginocchia. Venus riuscì però a liberarsi e le assestò un pugno su un occhio, che la accecò parzialmente per alcuni secondi.

Un'imprecazione lasciò le labbra di Greta, le cui mani risalirono istintivamente fino al collo sottile dell'avversaria, su cui presero a fare pressione con tutta la forza che possedevano. Venus si agitava convulsamente, senza smettere di colpirla nemmeno per un secondo. Affondò le unghie sulle braccia di Greta, trovando alla cieca il punto in cui il pugnale l'aveva ferita e ancora bruciata. Greta gridò, allontanando istintivamente le mani dal collo dell'altra e scattò in piedi, tenendosi il gomito. Aveva la vista ancora offuscata dal colpo che l'altra le aveva assestato, ma individuò comunque la propria pistola, che giaceva inerme accanto ad alcuni mattoni caduti chissà quanto tempo prima.

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