28. Ci Sarà Una Guerra

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Erano almeno quaranta minuti che Caph non si azzardava a proferire parola.

Il suo compagno di viaggio non gli era mai sembrato tanto nervoso: teneva le mani rigide sul volante, gli occhi fissi sul traffico molle della periferia romana. Si avanzava, seppur a rilento, ma nessuno dei due pareva interessato a farlo notare all'altro.

Caph gli gettò un'occhiata sottecchi, ma non diede segno di accorgersene. Tutto in lui esprimeva un forte disagio, un'ansia che lo aveva trasformato in un blocco di marmo fin da quella mattina.

<<Ho un brutto presentimento>> aveva annunciato, calzando gli scarponi da combattimento. Li aveva sempre evitati, rifiutandosi di indossarli anche nel corso delle missioni più pericolose. Eppure, verso le dieci di quello stesso giorno, mentre Caph si allacciava la cintura con le armi appese, era piombato nella sua stanza.

Bisognava partire subito- aveva detto- non c'era tempo da perdere.

<<Che è successo?>> aveva chiesto, confuso.

<<Non lo so>>.

Era stata la paura nei suoi occhi a zittirlo. Erano blu, un colore che Caph aveva sempre associato a lui, alla calma che era stato in grado di mantenere anche nei momenti in cui tutto era sembrato perduto. Non ne era rimasto nulla: solo terrore, un'angoscia troppo trasparente per essere immotivata.

Erano stati attaccati ancora prima di raggiungere l'auto. Se l'erano cavata con qualche taglio e livido, ma la verità era che avevano perso tempo. Qualcuno stava cercando di trattenerli e questo poteva voler dire solo una cosa.

Caph lo aveva osservato guidare senza esitazione verso la periferia della città, finché non si erano immersi nella campagna. Non c'era niente da quelle parti, nemmeno uno sputo di paesino. Fu allora che percepì la paura risalirgli la spina dorsale.

Non aveva avuto bisogno di chiedergli come avesse fatto a trovarli: era parte del suo tsuyo, dopotutto.

Parcheggiò senza cura davanti alla facciata decadente di quella che un tempo doveva essere una piccola fattoria. Un vento ferino li colpi in viso dopo che si furono chiusi le portiere alle spalle. Cercò lo sguardo del proprio compagno, ma questo aveva gli occhi fissi sulla vecchia porta in legno della cascina.

Il viso dell'uomo si ridusse a una smorfia di dolore, che gli accartocciò i connotati in una massa informe di pieghe.

<<Non sento Isso>>.

Caph aprì la bocca per parlare, ma l'altro si lanciò dentro l'edificio.

****

La radura era sempre la stessa, solo più piccola. Il bosco che la circondava aveva qualcosa di diverso: le bastò avvicinarsi di qualche passo per rendersi conto che stava morendo. Le foglie rimaste erano poche e marroni, si accumulavano sulle radici di tronchi neri carbonizzati.

Era uno spettacolo terrificante e Greta non aveva idea di come vi fosse giunta. Il cielo, grigio, quasi bianco in corrispondenza di dove doveva trovarsi il sole, la accecò per alcuni istanti. Abbassò lo sguardo ferito e si accorse di avere le caviglie immerse nell'acqua cristallina del solito ruscello di quel sogno.

Qualcosa non va, pensò.

Prese tra le mani due lembi della gonna dell'abito color smeraldo e si trascinò velocemente per il letto del piccolo torrente. Non voleva toccare quella terra scura e spoglia: il prato rigoglioso che l'aveva sempre ricoperta era stato spazzato via da una forza sconosciuta.

Doveva trovare W.

E lo trovò, ma non come se lo aspettava.

All'inizio lo scambiò per un masso, un cumulo di terra che costeggiava l'argine. Immobile, prono, ricoperto di fango e sporco. Riconobbe una ciocca di capelli chiari, che la fece scattare in quella direzione. Affrettò il passo, inciampando miseramente subito dopo. Incurante dello sporco e della terra malata su cui il corpo del ragazzo giaceva, strisciò fuori dall'acqua.

HOSHIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora