3. Mai Perse Per Sempre

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Il mattino seguente, Greta si era svegliata con l'umore cupo, nonostante fuori avesse finalmente smesso di piovere. Si era vestita svogliatamente, senza fretta, mentre le immagini del sogno che aveva fatto le tornavano gradualmente alla memoria.

Si era ritrovata nella radura di un bosco, senza sapere come vi fosse giunta. Il sole splendeva alto e nessuna nuvola macchiava il cielo, ceruleo. Aveva preso a camminare lungo la sponda di un ruscello, finché non si era imbattuta nell'uomo che aveva incontrato la sera prima. Sedeva composto su un masso e osservava l'acqua che scorreva sotto i suoi piedi.

<<Te lo leggo negli occhi che hai perso qualcosa>> aveva detto, voltandosi a guardarla. I suoi occhi erano dello stesso colore del prato che circondava entrambi. Solo allora, Greta si accorse che indossava un completo nero elegante, sotto un mantello spesso.
Abbassò lo sguardo e, senza stupirsi troppo, scoprì di indossare un abito verde smeraldo, lungo fino alle caviglie.
<<Come fai a saperlo?>> aveva chiesto, ma quando aveva sollevato lo sguardo, sul masso non vi era più nessuno.
E si era svegliata.

Borbottò un'imprecazione per poi infilarsi le scarpe e dirigersi pigramente verso la cucina. Sul frigo era stato appeso un post-it.

Io e papà torniamo dopo pranzo, un bacio.

Con uno sbuffo, raccattò una mela verde e le diede un morso. Si assicurò di avere tutto con sé e uscì di casa, premurandosi di chiudere la porta a chiave.

L'asfalto ancora umido rifletteva un cielo plumbeo e tutt'altro che invitante, ma aveva promesso a Daniele che sarebbe passata a salutare sua madre, quindi si mise in cammino. Non che casa sua fosse poi troppo distante: un paio di vie, passando per la piazza del paese.

Mentre percorreva il marciapiede di ciottoli che costeggiava la via principale, scorse alcuni bambini giocare a pallone in un piccolo cortile.
Inevitabilmente, le tornarono alla mente i ricordi della propria infanzia: Andrea, con i capelli a caschetto, neri, sorridente dietro una rete da pallavolo.

Era un'immagine nitida, come tatuata dietro le palpebre.

<<Mi manchi>> mormorò, per poi attraversare la strada.

Meno di un minuto dopo, suonò il campanello di casa di Daniele. La madre dell'amico, Sasha, la trascinò in casa con la scusa di un caffè e finì col trattenerla per più di mezz'ora. Non che fosse un problema: Sasha era sempre stata una donna sveglia e aperta a ogni genere di discorso, fin da quando l'aveva conosciuta dieci anni prima.

<<Quindi?>> domandò. Nei suoi grandi occhi neri scintillava la stessa comprensione che li aveva accompagnati nei due mesi precedenti. Era più o meno lo stesso sguardo che chiunque le aveva rivolto, nelle settimane che aveva trascorso a casa: compassione, mista a un pizzico di pena.
Sapeva benissimo il perché di quelle occhiate e avrebbe desiderato non essere un tale libro aperto per chi la conosceva. Forse glielo leggevano in viso quanto stesse male.

<<Ancora niente>> rispose, torturandosi le mani. Sasha annuì, porgendole il vassoio dei pasticcini che aveva portato con sé dalla cucina.

<<La polizia?>>.

<<Zero>> mormorò, scuotendo debolmente la testa. Erano le stesse domande, ripetute e rigirate fino a perdere di significato.

<<È una ragazza in gamba, sono sicura che sta bene>>. Accennò un sorriso spento, che Greta non riuscì a ricambiare.

<<Lo penso anch'io>>.

Seguirono alcuni istanti di silenzio, poi echeggiò per la casa il rumore di una porta sbattuta e il suono di passi pesanti lungo il corridoio. Daniele doveva aver finito di prepararsi.

HOSHIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora