VIII- parte 5 autoconclusiva -

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Sì, il capitolo è lunghissimo. Non uccidetemi!

Erano passati diversi mesi da quando Haley aveva allontanato William dalla sua vita, rifiutando qualsiasi tipo confronto verbale e deviando strada quando lo vedeva arrivare, sia da solo che con il suo gruppo di amici delinquenti. Sapeva, Haley, che aveva cercato uno sguardo, si era aspettato che lei lo fermasse per parlare, ma non era mai accaduto e mai sarebbe successo. La ferita che le aveva inferto era stata troppo profonda e ancora sanguinava.

Delinquenti era il termine adatto per descrivere il branco di Lafayette, non che fossero pericolosi per gli altri ragazzi, assolutamente, il bullismo non era nella loro natura. Erano per lo più innocui sotto questo punto di vista, sempre per i fatti loro, isolati dal resto degli studenti e quando non erano dediti all'autodistruzione, bevendo come spugne e fumando come ciminiere tabacco o altro, si lasciavano andare in piccoli crimini, che fossero un furto, un atto scandaloso o uno scasso di automobile.

William era quello che forse più di tutti mostrava una personalità ribelle, scontrosa e schiva. Era cambiato e Haley stentava a riconoscerlo sia dai resoconti che giravano su di lui che da quello che vedeva con i suoi occhi: il bambino che aveva conosciuto e il ragazzo a cui era legata erano definitivamente scomparsi lasciando il posto al ragazzaccio ombroso che ora tutta la città conosceva. Il figlio ribelle di una delle famiglie più religiose di Lafayette, feccia della feccia, come molti lo avevano cominciato a etichettare.

All'eta di diciotto anni, Bill era già entrato e uscito dalla centrale di polizia più di una volta e aveva abbandonato definitivamente la chiesa, disertando gli incontri e il coro da ormai troppo tempo per ricordare quando lo aveva visto lì l'ultima volta. Si era fatto crescere ancor più i capelli e litigava praticamente con tutti: qualcosa in lui si era incrinato, rotto per sempre. Le loro strade si incrociavano spesso, in fondo vivevano in una piccola città ma non vi era stato nulla più che occhiate furtive, almeno fino a quel tre agosto del 1980 quando, tornando a casa dalla solita passeggiata pomeridiana con il cane, Haley non lo trovò steso su di una panchina, a qualche centinaia di metri da una pattuglia ferma al lato della strada.

Se lo avessero visto in quelle condizioni, lo avrebbero portato nuovamente in centrale, sporcando ancora di più la sua fedina penale tutt'altro che intonsa. Prese un bel respiro e ingoiò il groppo di egoismo e orgoglio che le si era formato nello stomaco; si avvicinò e si accucciò sulle caviglie, reggendosi alla panchina per non cadere.

Pareva dormire, aveva le labbra schiuse e le palpebre abbassate; respirava profondamente ed emanava un forte tanfo alcolico: era ubriaco lercio. Lo avrebbe dovuto lasciar lì, nelle mani nella legge, a scontare l'ennesima notte in gabbia, invece gli toccò la spalla scuotendolo appena.

- William. Svegliati -

Lo scosse ancora e lui borbottò qualcosa prima di aprire un occhio.

- Ti aiuto ad alzarti e ti porto via da qui. Collabora però-

Bill biascicò qualcosa di incomprensibile e si alzò sulle gambe instabili. Era diventato ancor più alto di lei e aveva una muscolatura tonica, nonostante non facesse altro che bere.

- Dove ti porto, ora io?- chiese e fece per prendere la strada di casa del ragazzo, quando Bill si bloccò e scosse il capo.

Haley lo guardò sollevando le sopracciglia e serrò le labbra. - Ti porto da me, allora. Ma
questo non vuol dire che qualcosa sia cambiato-

I genitori non sarebbero tornati prima delle undici di sera e la nonna soleva poltrire tutto il pomeriggio di fronte alla tv. Entrare in casa e chiudersi in camera non sarebbe stato poi tanto difficile... se lui avesse collaborato un po' di più.

Don't Damn meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora